Cap.1 - Romitaggio e Leggende dei Santi Benigno e Caro eremiti del Baldo Da "Solitudini sul Garda - Bonato Editore"
Un romitaggio, esprime poco, se non raccolto nella pace di una valletta o campato in aria sulla vetta di un poggio; se non è compreso da un miracoloso stupore di leggenda, che lo avvolga e lo confonda nel pieno di una aureola luminosa, con particolari accenti di saga infantile. Il diletto e indimenticabile amico mio scomparso, l'avvocato Sirio Caperle, un adoratore del Garda, il fiero paladino e pioniere per la redenzione della riviera veronese, mi accennava molti anni or sono, poco prima della guerra, ad un minuscolo eremo, sperduto nei crodoni del Baldo ed ai Santi Benigno e Caro, sacrato due ore di sentiero sopra Casson. Casson è una di quelle borgatelle d'alto lago, su quel di Malcesine (dove il vaporetto allora non sbarcava) e che vegetano sommerse ai piedi del severo e rude Montebaldo, sotto il peso morale di certi costoni boscosi, che sono avvinti al massiccio della catena e pur ne sembrano staccati, come sbalzati in rilievo, e somigliano in iperbole, a delle ondate enormi issate a forza dal lago e pietrificate lassù! Li chiamano le "pale de San Zeno". Sulla riva, Casson, porge con garbo un

mucchietto di case chiare in collina a destra; ed a sinistra più in alto, eleva in gloria la chiesetta candida tra i pini. Nel bel mezzo sonnecchia seminascosto, in palazzetto color cinabro, Villa Beretta, avvolta nei salici piangenti, che offrano tributo alimentare di lagrime ad un "Re" (rio) che è il più corto fiumicello d'Italia. Ma sopra Casson, a circa mille metri sul livello del mare, vi si addita una spelonca dove, ai tempi di Re Pipino e di sua figlia Berta (che lava), i due eremiti Benigno e Caro vissero per molti anni mangiando rape e radici di un certo orto da loro coltivato, e che a sua volta si adoperò a compire miracoli, come vedremo. Per quanto eremiti ed in odore di santità, droga ignota ai fabbricanti di profumi, per quanto ritirati in un sito inaccesibile allora ebbero noie, dispiaceri e processi. Erano calunniati di convivere carnalmente con una certa Olivetta, che veniva a disimpegnare le facende di casa, nella spelonca. Ora i due crani dei Santi sono custoditi dentro un'urna di vetro chiusa con tre chiavi, tenute dal Sindaco, dal parroco e da un fabbriciere della parrocchiale di Malcesine. (Avemo verificado anca questo. Césa Parochial de Santo Stefano 2° altar a destra). Ed in detta chiesa esisteva sino ad un secolo fa una merla di

rame che procurò anch'essa noie e digiuni ai due eremiti. Racconta il Della Corte nella - sua "Historia di Verona" (Libro IV, Tomo1) che dovendo Re Pipino, per incarico di Carlo Magno, entrare in guerra coi Veneziani, deliberò prima di partirsene e forse per scongiuro, di far trasportare il corpo di San Zeno, patrono di Verona, nella chiesa che per lui era stata condotta a termine. Ora avvenne che quando si trattò di levare il corpo, questo pareva inchiodato al suolo e non fu possibile smuoverlo. Miracolo! Come fare? Una vecchia indovina suggerì al Vescovo di Chiamare i due santi eremiti Benigno e Caro, che vivevano in stretta astinenza sui monti di Malcesine. Il diavolo "per ispaventarli dal venire a far così degna opera, più volte in forma di merla si presentò loro, giù per il monte studiando col batter delle ali e col rauco stridor di voce, dimostrare che questa loro andata avrebbe portato grandissimi danni generali". L'eremita Benigno, che aveva mangiato la foglia, intimo alla merla di fermarsi a mezzo monte e quella si fermò. li eremiti giunti indisturbati in città, con due sole dita traslarono il corpo nella chiesa,

poi tornarono alla spelonca, e si soffermarono sul luogo dove Benigno aveva intimato alla merla di fermarsi, per liberarla dall'incantesimo. Ma questa, era gìa morta di fame. "Certamente mormorò Benigno, di vita e di perdono e non di morte era degno tanto uccello!" E digiunò quaranta giorni! Per commemorare tale fatto, venne eretto sul luogo un capitello sormontato da una merla di rame, che poi fu trasportata nella chiesa di San Zeno a Malcesine - come dicemmo. Signorsì, proprio la mattina che si doveva andar in gita all'eremo, spalancando una finestra dell'Albergo "Italia" - in Malcesine, finestra che dava sul brolo del palazzo dei Capitani del lago, mi vedo appollaiato sulla merlatura di cinta prospicente il lago stesso, uno strano uccello rosso come un piccione, dal becco lungo, che se non era una merla doveva essere qualche suo prossimo parente. Sirio, Sirio gridai al mio vicino di camera, Sirio vieni a vedere il Miracolo. Una merla che vuol distoglierci dal proposito di andar su all'eremo. -Va là, merlo, tu fai apposta per non camminare, poltrone! - Ma no, ma no, vieni a vederla, c'è proprio una merla! L'amico arriva ed intima a sua volta: - Fermati, o merla, fino al nostro ritorno! La merla o qualche cosa di simile, che a quanto pare s'era paga del primiero e tradizionale scongiuro, se la battè alla chetichella saltellando di merlo in merlo: No, Cari e Benigni Signori, favellò, no, questa volta potete stare tranquilli! Soltanto fermatevi un momento davanti al capitello. Una prece. Soltanto allora mi accorsi che era una gazza parlante.... A Casson, ci attendeva l'allegra comitiva pellegrinante, venuta di Val di sogno (bagno di ninfe e di muse) con tre mulette bardate ed un sacco di provvigioni. Il cuoco della carovana era partito la mattina per tempo con la fanticella (che chiameremo Olivetta) ad approntare le "bracioline alla cacciatora" uno di quegli intingoli che si mangiano soltanto all'ombra dei faggi e dei castani. Due nobildonne veneziane, presero posto sulle cavalcature e così pure il barbuto Rizzardi, un magnate di Malcesine, residente a Casson, che in luogo della lancia aveva assicurato all'arcione una volgare sporta dove brillava argento di due superbi carpioni del suo vivaio... La salita, dolce

da prima, era sì, che le mule tamburellassero allegramente gli zoccoli sul selciato, ma poi seguiron pietre mobili, come certe feste del calendario, e il sentiero, da mulattiera si fece caprino, sempre più orrido e faticoso. E dietro le spalle, per ironia, il lago placidamente bello e stanco, pareva seguirci con gli occhi soffusi di beatitudine. Qual distacco fra tremito impercettibile di una vela laggiù e la scabrosità di tutte le scaglie taglienti sotto le suole tenerelle delle scarpine quassù! -Tali li game contadi, sospirando le due gentildonne veneziane, (alludendo ai sassi) quando fu giocoforza lasciare le mule ed inerpicarsi... Il capitello della merla è ad un ora di Salita da Casson. E' tutt'altro che bello con le murette squadrate intonacate e la pittura sbidita in fondo alla nicchia, dove una madonnina della Scapolare volteggia sopra San Zeno e i due santi. Ma parla la leggenda. Una data: 1837.capitel Il capitello è piantato sopra un cumolo di macigni muschiosi, e porta sul tetto di pietra viva un castelletto di mattoni, quello che doveva reggere la povera merla di rame.... Il barbuto Rizzardi ci mette al corrente di tutto il patrimonio di leggenda che forma l'aureola attorno la testa dei due eremiti. - Perché in fondo i dise, che la ghe andasse sempre par casa (la grotta) e i ghe dava le fragole de pan...commenta fra sè, a bassa voce l'amico....-Chi andava per casa? - La merla!... Così che il diavolo, ghe l'avea tolta inprestito!? - Mah, anche i santi si possono sbagliare, forse la gran bontà... Ricorda la facilità con la quale i due eremiti inginocchiati parte per parte, sollevarono con due dita il corpo di San Zeno, che otto cavalli e la forza di cento guerrieri non erano riusciti a smuovere. Ancor oggi in Malcesine si commemora la traslazione del corpo santo e si chiama "El trasport". Una settimana dopo la funzione si ripete a Casson, e si noma "El trasportin".