Museo Barbarani - Articoli

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> BERTO A PASSO RESIA
Berto a Passo Resia
(Patrie e Colonie, rivista 1914, anno 3 semestre 2)
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> AVIO REDENTA - UNA DOMENICA AD AVIO
Avio "redenta" - Una domenica ad Avio
Berto Barbarani cronista del "Gazzettino" Articolo pubblicato il giorno 9 luglio 1915, Berto inviato ad Avio percorrendo il tracciato dell'attuale statale del Brennero. Un ringraziamento all'Associazione Culturale "I Quattro Vicariati" di Ala per la "colaborassiòn" e la "publicassiòn" de l'articolo sul semestrale 107. Sono partito stamane da Peri, alla conquista di un paese mai visto: Avio. Viaggiavo con una carrozzella che pareva messa così alla svelta, dopo una disastrosa caduta nel fondo di un burrone, ed ero superbo come un fiorentino antico, tanto più che mi trovavo in mezzo a due... medici // Il riferimento ironico è alla famiglia fiorentina dei de' Medici // . La cavalla che ci trainava si chiamava Sarah e trottava a malincuore sopra la nuova strada italiana. Certo doveva essere di sangue ungherese! A due passi dal vecchio confine che da una parte portava scolpita l'aquila tedesca e la data 1754 e dall'altra il leone di San Marco, la cavalla Sarah fa uno scarto improvviso. Gli è che ha intuito a destra un ammasso di sacchi pieni di terra. Sono avanzi della prima rudimentale, trincea che sbarrava la strada quella tal mattina...Brrr...! //Barbarani si riferisce al 27 maggio 1915 quando le truppe italiane passarono il confine dirette a nord.// Lì vicino, giace abbandonato, ignominiosiamente, il palo giallo e nero sradicato con una certa grazia rabbiosa. "Bella operazione!" sclama il medico di sinistra, che è anche dentista. A Borghetto, gli abitanti sembravano un poco incantati. Dalla cella campanaria della parrocchiale sventola timidamente una bandiera scolorita dalla pioggia, ed in fondo al paese si ammira un enorme buco fatto sulla facciata della capitaneria....Brrr...! "Bel colpo!" esclama il medico di destra. Anche il ponte d'Avio, che unisce il Vò destro con quello sinistro, sembra incantato dopo la riparazione sollecita ed incredibile. Par di correre su dei "rugoli", dei rulli di legno. Il ponte è pavimentato per tutta la sua lunghezza da una serie compatta di travi mobili, così che la carrozzetta si avanza come sopra una tastiera in modo che (è un po' difficile l'esprimersi) ogni trave si muove e manda fuori un suono che sta fra un colpo di gran cassa e il mal di mare. Ma non si può negare che il ponte d'Avio così argutamente rimesso a posto non sia un ponte di...genio. // Chiaro il riferimento al Genio militare italiano che aveva ripristinato il ponte distrutto dagli austriaci in ritirata // Dal ponte dei due Vò si va in Piazza San Rocco, ad Avio, e questa piazza ha un'aria raccolta di conventualità gialla, a finestre chiuse. La parrocchiale del Settecento non conserva dell'antica chiesetta di San Rocco che un bassorilievo in pietra, murato nella parete a sera del battistero, ma i buoni fedeli di Avio posso avviare le loro orazioni nel vasto ambiente della chiesa, tra una festa di dipinti e stucchi e dorature, in armonia simpatica tra la chiesa e il teatro lirico. L'organo è bello, ricco e prezioso di costruzione e modernità acustica eccellenti. Il pulpito si intona bene con lo stile dell'organo. Non so se i preposti siano altrettanto belli e intonati. Sulla porta del campanile, si legge la seguente scritta ammonitrice "segnali di incendio" per le frazioni del comune. Mama - Fontan un tocco continuato. Vò sinistro - Vo destro tre tocchi continuati. Masi - San Leonardo due tocchi continuati. Ischia Forana - Campiglio quattro tocchi continuati. Sabbionara - Sant'Antonio cinque tocchi continuati. Avio - Valli sei tocchi continuati. Di fronte alla chiesa su di una palazzina abbiamo il lusso di due meridiane, una per l'Inverno e la Primavera e l'altra per l'Estate e l'Autunno. Sono meridiane che portano una firma d'autore e lavorano puntualemente secondo i piani. La carrozzella imbocca la via del Municipio e si appiatta all'albergo della Concordia di San Valentino. Si sente, in quest'albergo consolato da un cortile e tavole ombreggiate, l'allegro ritorno dei padroni di casa, che l'avevano chiuso scappando a Verona ed il commento tranquillo dei valligiani appena usciti di chiesa per inneggiare al nuovo altare della patria, su cui si accesero i primi ceri in questo borgo, col vino bianco del paese. Il Municipio, di fronte, porta all'occhiello lo stemma comunale in alto rilievo con l oscudo sormontato da una corona araldica, la croce nel mezzo e sotto due ramoscelli di quercia. Sulla porta d'ingresso sporge un poggiolo a mancia in ferro battuto, sulla ringhiera del quale si regge appena in bilico un gran lanternone foggiato a guisa degli antichi lampioni, e parte per parte sporgono due bandiere, la tricolore e la comunale (una croce gialla in campo celeste). Sulle pietre d'impelliciatura a livello della strada appaiono i segni evidenti dell'incendio brutale del prezioso archivio, la vigilia dell'ingresso degli italiani. Come fu già detto, il Municipio ora funziona da commissario regio un giovane e simpatico ufficiale, Alberto Brasavola, coadiuvato fortemente dal direttore del Municipio sig. Perotti Francesco (Beno n.d.a.), che fu per dieci anni podestà di Avio, di cui si conosce profondamente le vicende, e ha ben nota fama di studioso modesto e diligente. In Municipio apprendo che di tutta la popolazione d'Avio (3400 abitanti) erano chiamate sotto le armi dai 18 ai 50 anni cinquecento persone circa. Di questi 50 circa disertori o in America e cinquanta passati nel regno (d'Italia n.d.a.). All'uscire dal Municipio incontro l'amico Arturo Angelini, che mi dice: "Stamane sono passati cantando i volontari alpini veronesi. Adesso stanno rampicandosi su per il Baldo". Berto Barbarani |
> BERTO SECONDO RENATO SIMONI
Berto secondo Renato Simoni
(Articolo sul Corriere della Sera del 1950) Penso a Berto Barbarani. Una viva e bella e commossa evocazione del poeta veronese, pubblicata ora da Lionello Fiumi (Venezia: Zanetti) mi risuscita ![]() ![]() ![]() ![]() |
> BERTO BARBARANI E LA VALPOLICELLA
Berto Barbarani e la Valpolicella (Valpolesèla)
Articolo de Giannetto Bongiovanni - Febràr 1927 Il passeggero che scende alla cara turrita Verona – così bella tra il curvo fiume e il diadema dei monti, ricca di marmi e di sole – se ha la fortuna di conoscer da vicino Berto, il dolce aedo dell’ “Adese che va” trova subito onesta e calda accoglienza amicale. L’arguto volto, dove gli occhi malinconici con un raggio candido e blando di malizia tutta veronese hanno lume di bontà; la barba d’ebano con qualche indiscrezione argentea (ahi Berto, è un pezzo che l’Adese che va “in çerca de paesi e de çità”, e molta ne passò, d’acqua sotto il ponte “de la Piera” da che ti volli bene!), la persona tutta, esprimono la gioia sincera del fratello che trova il fratello. Gioia non rumorosa ma neanche tranquilla. La mano quasi feminea fa un gesto largo, il viso ride e il dialetto armonioso e sonoro s’espande in esclamazioni ad interiezioni festevoli, sin che un “taglio” di bianco secco – suppongo che siano le undici e mezzo, l’ora d’oro per Verona d’oro, e di trovarci da Vitale Sterzi – funge l’aperitivo. Poi, a braccetto, s’attraversa Piazza Erbe tutta sonante e fervente di vita, sin che s’arriva da Valle, in prossimità del fiume. “Da Valle”, - una pampinea vite v’accoglie alla porta – è un ostaria che Hans Barth non sdegnerebbe, e dove Catullo potrebbe segnare croci sul tavolo, intingendo le dita nel vin mero “da oto”: grazie alla Siora Amalia, vi si banchetta bene: cibi sani, onesti, casalinghi. La brigata è gaia: i misteri della cucina non sono misteri perché le pentole borbottano sotto il capace camino davanti agli occhi del buongustaio: il vino nero scintilla nelle boccie tonde di vetro bianco: e Berto, beato, troneggia tra gli amici che gli fanno devota affettuosa rispettosa corona, non senza una punta d’orgoglio per averlo contubernale. Non è difficile che nei gai conversari, berto parli del “suo” Garda, o della “sua” Valpolicella, specie se una bottiglia venerabile di Recioto, “che l’è la fabrica de l’amicissia” imperi, amabile signoria, sulla tavola. Dico “sua” Valpolicella, non perché io mi sappia di Berto possessore di molti iugeri ben coltivati a vite, ma perché egli ne è il poeta – della valle e del vino - : ma perché i suoi amici amano convitarlo lassù, ed egli ogni anno, anzi più volte all’anno, d’inverno e d’estate, colla neve coi “ciari fior de mandolari” si reca a vagabondare della regione che ha inghirlandato di poesia. L’ambiente comitale della valle dalle molte cantine (policella) rallegra i cuori e concilia gli animi, dice il poeta in un breve saporitissimo libro, libero e sbarazzino, negato alle vetrine e al gran pubblico, ma donato con liberalità agli amici. Altro merito ancora ha la Valle: d’aver fatto scoprire – a chi non lo conosceva – un Barbarani prosatore (In Valpolicella, Prose e versi con illustr. di A.dall’Oca Bianca. In-16,pp.60. Verona, mondadori. Ediz. fuori commercio), con una lingua sua personalissima, talora scabra come le montagne amate dolce invece e morbida tal’altra, e intinta d’un grato sapore dialettale, che par quasi nasca dal profumo del celebre vino. Credo che mai ragione abbia trovato più amoroso descrittore e più arguto annotatore. umorismo tutto suo, snocciolato placidamente nelle battute sommesse. Un cavallo che attende in stazione diventa “un coso nero fumigante che vuol essere un cavallo”; un the? ecco:”all’ora del the mi trovo seduto su una panca di legno vicino alla stufa accesa, con una saporita mortadella ai ferri davanti, due fettine di polentina di monte, abbrustolita (coi segni trasversali della graticola) e due cagnetti alle parti, uno vecchio ed uno giovane, che pendevano dalle mie labbra come se fossero a scuola di caccia”. Ci sono poi le oche di servizio che bevono le pozze d’acqua per far pulizia, i maialetti color rosa che folleggiano d’accordo tra loro, il gatto soriano che fa toeletta mentre un cane si lecca la coda e un cavallo “con la coperta a scacchi verde e gialli lo mirava, approvando”. Anche le cose hanno un’anima propria e suscitano notazioni curiose. Basta pensare ad una cucina campestre, tutta di marmo, dall’acquaio alla tavola ai reggi secchi e paioli: meno male che i rami e le pentole metton la nota calda in tanto freddo! Descrivendo la Madonna de la Salette, l’autore parla dei capitelli (piccoli santuari lungo le strade del santuario maggiore). “E’ la solita via crucis dei santuari, ed ogni capitello porta due stazioni come una città per bene”. Qui proprio lo vedete il sorriso contento di Berto: e più ancora quando vi racconta la tragicomica storia dei due pastorelli Marzemino e Melania… Ma già l’autunno incalza, ed ecco il poeta coll’aureo Mecenate (…Sterzi) andar a “cargar el Recioto” e libarne la primizia – dopo un passo didascalico e curato sul modo di prepararlo….. e di berlo. Perché, e e lo dice credetegli, il Recioto è delizioso a bere dopo Natale “quando è ancora bambino come il nostro buon Gesù…” Landau chiuso, sonar di bubboli, o magari democratica carrettella che si ferma, docile, ad ogni frasca sporgente dai muri, che invita alle delizie. Il poeta non ama l’auto rumorosa, ma i cavalli maestosi ed annitrenti, che fan risonare nitidamente gli zoccoli sulle strade dure, mentre il paesaggio lento si dipana e si offre come una bella dama all’amatore giovane, o una capace tazza al bevitore fiero. Le fattorie antiche hanno ancora un sapore classico e nostalgico coi loro arnesi testimoni di usanze famigliari e vecchiotte, le quali man mano scomparendo, indugiano ancora per gioia dei laudatores temporis acti. O, lasciata la fattoria, se ne va in Villa “La Sorte” settecentesco edificio cui la malia di Dall’Oca Bianca dà un aspetto accogliente, mentre, sotto il disegno, due versi che direste presi da un vecchio almanacco di stagioni vi ninnano placidamente. “Sul cancel della Villa fanno di sentinella un pastorel d’Arcadia ed una pastorella”. San Giorgio Ingana-Poltron ha pure la sua parte: e il poeta salendo a piedi “come un vecchio Arusnate”, dice lui, trova campo di lasciar libera la fantasia. Veramente nelle pagine sembra che la vena gli gonfi il petto, tanto sono cantanti, piene di sole, di campane osannanti, - Corpus Domini, festa granda! – e sotto si stendono culture nel fervore della vicina maturità frumentaria. Qui bisognerebbe lasciare la parola tutta a lui: immaginatevi il poeta in una domenica di sagra: acciottolii di piatti, odor d’arrosto al rosmarino, mentre all’ombra d’una pergola due donnette reduci dalla processione ancora velate da vergini, stendon la tovaglia sul desco, ed un arusnate moderno, più robusto che santo, vi posa sopra due gran caraffe di vino color chicchi di melograno. C’è anche il sagrestano celebre per le sue storie “una de fe e una da brodo” la levatrice che offre la bottiglia nel suo salotto, lieta dell’onore. Vedete la “Scena”? Ma il Sior Lissandro, figura centrale dell’ “autunnale classico” è indimenticabile: lui e la spedizione in calesse con la vispa muletta americana. Che avvneture di viaggio, per questi novelli argonauti che partono in cerca d’un pittore, muniti d’un tovagliolo contenente sei fringuelli amari per lo spuntino: tanto poi a Costermano troveranno un vinetto da mitigare la prosa dei fringuelli sul tamburo di due fette di polenta! (Nel ritorno si fermano ugualmente attratti dalla calamita dei bei ocioni delle ostesse ed anche da… salsicce novelle. Perché, sicuro, questo e il piatto d’autunno che “allude alla comparsa d’uno dei più importanti padri coscritti della mite stagione: il porco!”). Peccato, ecco, non viaggiare con lui. Peccato non poter vedere i suoi occhi accendersi davanti ai paesaggi della terra che egli adora e lo adora: peccato non veder come, lungo le vie, le belle popolane lo salutino con gioia: “Sior Berto!” Perché tutte lo amano e sono orgogliose di lui: perché nell’anima inconscia del popolo, così piena di poesia, egli resta pur sempre il dolce aedo che diede anima calda e voce armoniosa alle cose, ai cieli, ai campi, alle case, ai ponti, alle torri, alle creature della sua terra. Peccato. Ma, ecco, ad interrompere il volo lirico, una sua parola saggia. “Magna, ciò, e bevi, po parlaremo de poesia!” Poesia anche questa, Berto. Mi sembra di udire il tuo ammonimento: “Una volta iniziati al silenzio oblioso di questa valletta ed alla contemplazione di cotanti misteri (le catacombe fresche fresche dove s’appiatta il vino) l’animo generoso apre chetamente la confidenza al vino buono e sprigiona il canto suo più intimo, nell’armonia di uno stomaco sano, con un cervello a posto, pronto a tutte le fantasie, ed alla estimazione delle cose più semplici”. In Valpolicella. Impressioni, bozzetti, versi (Ed. Mondadori, Verona, 1925) “Il Recioto classico ha per madrina l’uva migliore dei colli della Valpolicella, staccata dalla vigna, dopo il Rosario, così entro la seonda quindicina di ottobre. Quest’uva scelta fra certe speciali qualità (molinara, rossignola, rondinella ecc.) deve essere tolta dai filari dove i grappoli son più diradati ed hanno l’acino piccolo. Pulito per bene, si capisce, ogni grappolo dal marcio e dal secco, viene mutilato della parte meno matura ed appeso col gambo in giù a dei fili di ferro, o ben disposto sui graticci di canna in arieggiati granai, fino alla metà circa di novembre. Cosi i racimoli (in veronese: recie-recioto) si asciugano e condensano il loro succo, come in un alveare. Si pigia alla foggia antica, alla maniera che si fanno i versi, coi piedi; ed ai primi di dicembre si travasa il mosto dal tino, dentro fusti ristretti, dove va perfezionando la sua bollitura, per il solito vien commercializzato in febbraio-marzo. Chi ha fretta lo imbottiglia in aprile. Ma questo nettare è delizioso a bere dopo Natale, quando il “Recioto” è ancora bambino come il nostro buon Gesù”. Cit. in L. PARONETTO, Verona…, pp. 197 e 202. Cit. in L. PARONETTO, Verona…, pp. 197 e 202. Vedi anche G. MONTALDO, Amarone: dai vini retici fino ai giorni nostri, in AA.VV., Terra, uomini e passioni…, pp. 114-116. Si rimanda a L. PARONETTO, Verona…, pp. 182-205; G. SILVESTRI, op. cit., pp. 212-220. |
> SEDANO RAPA
Sedano Rapa (Sèleno Rava) a la Barbarani
Riçeta de cusina veronese Si prende una testa di sedano - rapa piuttosto grossa. Si monda bene e si taglia a fette dello spessore di uno scudo di vecchio conio. ![]() |
> I VA IN MERICA emigrassión contà in francese
I VA IN MERICA l'emigrassión contà da un storico italo-francese
Buletin de l'Académie du Var (Toulon - Tomo XIII 2012) Exil et nostalgier: les italiens en france au XXe Siècle (Romain H.Rainero) dal sito www.gallica.bnf.fr
.. Crevée la vache qui donnait le fromage, C'est le cri de protestation d'un poète de Vérone. Mais son contenu, la valeur de l'image qu'elle transmet, sont emblématiques d'une situation qui frappait tous les émigrants. Que ce soit du Piémont, comme de la Vénétie, du Nord comme du Sud, les émigrants étaient partis en maudissant, non pas leur village, mais bienle ur patrie théorique, cette Italie officielle, lointaine et sourde à leur appel à l'aide /// È il grido di protesta di un poeta veronese. Ma il suo contenuto, il valore dell'immagine che trasmette, sono emblematici di una situazione che ha colpito tutti emigranti. Che sia piemontese, piace Veneto, dal Nord come dal Sud, gli emigranti furono lasciato imprecare, non il loro villaggio, ma la loro patria teorica, questa Italia ufficiale, lontana e sordi al loro grido di aiuto. |
> EL BASTARDO DO BRASIL
"El Bastardo" do Brasil
Curiosità, un libro del poeta italo-brasiliàn Carlo Prina dedicà a Trilussa e ai so amiçi compreso Berto Barbarani. El libro l'è in portoghese e stampà a Buenos Aires nel 1945. Ringrassiémo par la segnalassión Carolina Marconi da Roma. O bezerrinho nasce de uma vaca Porém tu, que nasceste numa igreja Tu irás bem sosinho nesta terra E sob o oprobio dessa marcação Olha! teu pai se acerca em automovel, E eis que um dia a febre de domina Te asseguram que alí se está mui bem: E aos domingos, ninguem que se depare EL BASTARDO El vedeleto el nasse da la vaca, l'agnelin g'à 'na pegora par mama... E questo qua el fa «bee» quando el la ciama e da la teta mai no se destaca; / e la cagneta che l'è piena e straca, la fa i cagneti e dopo la li sfama; el lugarin fa el nio tacà a la rama, e 'l guarda ben che i ovi no i se maca. Ma ti, che i t'à catà drento una ciesa fato su in l'un sial vecio, o soto un ponte, o in campagna, in te un prà, longo la sesa, / o in te un portego scuro sensa fondo, in meso a un giro de stradete sconte, bruto bastardo, ci t’à messo al mondo? / Ti, te andarè remengo par la tera, fiol de nissuni, servitor de tuti, |

Trilussa, Testoni e Berto - Il Secolo XX 1912
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