Rivista Il Garda storie fantastiche
Quél contà da Berto su la rivista mensìl "Il Garda" in italiàn, le storie fantastiche.
Un póchi de articoli del grande Barbarani che ne conta un poche de storie fantastiche e filosofiuche. No gh'è stà tante publicassioni, ma de artisti e giornalisti ghe n'è passè tra el 1926 e 'l 1932. Tra le diciture de questa rivista catémo:"Nel 1926 - RIVITA MENSILE - PATRONATO DELL'ENTE FIERA CAVALLI DI VERONA FIERA NAZIONALE DELL'AGRICOLTURA "Ufficiale per gli Alti dell'·· ASSOCIAZIONE ITALIANA PER IL MOVIMENTO DEI FORESTIERI ", SEZIONE VENETA E DEL GARDA. Nel 1927 " RIVISTA DEL COMITATO PROVINCIA LE PER IL TURISMO - VERONA". bóna letura!
ARTICOLI:
- LA COMPAGNIA DELLA STELLA
- UN RACCONTO DI NATALE
- MIE ZIE, LE PARCHE - racconto straordinario
- CARNEVALE IN PROVINCIA
- cap.1 - LE INVENZIONI DEL CERUSICO COLTELLI
- cap.2
- cap.3
- cap.4
- cap.5
- cap.6
LA COMPAGNIA DELLA STELLA (NATALE CAMPAGNOLO)
Da l'articolo de la rivista "Il Garda" del decémbre 1927
Epoca: cinquant'anni or sono e qualche cosa di più! I protagonisti, tutti morti sotto buona o cattiva stella, a scelta. Si chiamavano: Il "Barba" il "Bolineli" (maestro di musica ed autore di un'opera intitolata: "Firenze e Roma" scritta tra un rimescolar di polenta gialla ed un sogno di musicante, che mandava a brucio la polenta ed il fondo del paiolo). Si chiamavano: il "Mas-cio" ed il "Burato ". Appartenevano tutti all'artigianato di Valeggio sul Mincio, in epici tempi di entusiasmo patrio e quando le tradizioni si seguiano buone e dotate di una interpretazione "tanto semplice ed ingenua, che i ragazzi di allora più non dimenticarono. Erano quattro mattacchioni, l'allegria del paese; una qualità di figure, che, pur guardandoli bene in faccia, c'era da restar dubbiosi, perplessi: Faranno da senno o ci burlano? Nella ricorrenza natalizia, entravano di botto in una certa propria loro funzione pastorale ed eroicomica. Erano i personaggi indispensabili e faceti della vigilia di Natale. Allora tre di essi diventavano suonatori di tromba: Ottone I, Ottone II, Ottone III; certe trombe giallognole, che a forza di rattoppi e saldature, apparivano color dello stagno. Erano incanutite! Il contrabasso, da solo, conteneva un mezzo quintale di vino ed il suo interprete, il "Barba" (se gli affari andavano bene e se le porte di casa si aprivano al Bambino) ne capiva altrettanto in due giorni di pellegrinaggio astronomico. Il quarto maestro reggeva la "Stella ". Per descrivere la "Stella" per intenderne la magica e recondita potenza, bisogna saper tornar bambini e farsi venir due lacrimette agli occhi, sotto la buona reminiscenza di natali lontani... La "Stella" era una scatola di cartone, protetta sul davanti, da un vetro. Dentro, sul fondo, a raffigurare i Magi, erano :fissi tre Re, ritagliati da un vecchio e bisunto mazzo di carte da giuoco: il Re di Denari (il mago dell'oro) il Re di Coppe (quello dell'incenso) il Re di Bastoni (il simbolo manca). Davanti ai tre Re Magi, a rappresentare il Divino Infante, gtaceva su poca paglia il Fante di Spade, ben ritagliato anch'esso... La scatola presepio, era infissa su di un'asta di legno e sul tetto della medesima ondeggiava una stella cometa, che gua va all'obbedienza di una cordicella; ed era questo vortice di carta, che faceva deliziare i Valeggiani e dava aria alla soprastante Rocca Scaligera.
E cantavano:
"Noi Siamo li tre Re venuti da Oriente
per adorar Gesù...!"
E quando c'erano Croati a
Valeggio, lì lì per andarsene, insinuavano:
"Or noi che ce ne andiam a li nostri paesi,
da cui venuti siam...!"
E i Croati che avevano mangiato la foglia, ricorrevano al Re di Bastoni (ecco il simbolo).
Una sera di vigilia natalizia, i quattro maestri cantori e la stella, avean girato invano tutti
i dintorni senza vedere un soldo, nè un bicchier di Vino. L'annata era stata triste; non c'era più religione, e nevicava! Come ultimo rifugio at miseri affamati e sitibondi, era designata una piccola fattoria di agiati contadini, che, per buona usanza, ci tenevano assai a far lieta ci era agli " Ottoni" ed era una sagra che durava da anni ed anni e fino all'impallidir della famosa "Stella". I tre maestri adunque, arrivando alla fattoria "ultima spes" con l'acqua in bocca, che scappava giù per il dedalo delle trombe:
"Noi siamo li tre Re,
Venuti da l'Oriente...
Pepè... Pepè... Pepè...!"
La fattoria è silente, accigliata ed oppressa sotto il tetto nevoso. Dalla cucina non esce segno eli fuoco vivo.Il ceppo natalizio dorme sotto la cenere. Soltanto dalla stalla tra lucono gli sbadigli di un lanternino. I tre "Ottoni" si dispongono sull'aia e scrutano timorosi quella casetta oscura, che non si scuote al diabolico trombettare:
"Pepè... Pepè... Pepè...
No i siamo li tre Re...?"
Si dischiude l'usciolino della stalla ed una donna afflitta si sporge: Ah, poareti, poareti... Stassera no l'è da Toni (da chiassi). Semo in te 'na gran disgrazia! I suoni cessano. Gli animi sono sospesi alla cordicella della "Stella". La donna prosegue, accentuando il suo malincuore:
- Ah, poareti, poareti! 'Na gran disgrassia 'sto ano; la vaca la sta mal! Gli animi si staccano dalla cordicella e la "Stella" gira vorticosamente...
Una voce dalla stalla:
Ohe, dona, ela la "Stela"?
Sì, poareti!
Ben che i vegna istesso ... Cissà!?
La compagnia della "Stella" entrò nella stalla, con quell'impeto che l'acqua del Mincio ribolle e scroscia fuori dalle paratoie alzate al ponte Visconteo di Borghetto. Nel bel mezzo, troneggiava fra bestie minori, la vacca gonfia e tesa come un dirigibile. Aveva mangiato troppa erba spagna (trifoglio) ed ora soffriva di "timpanite". Non poteva liberarsi. Attorno al monumento che soffriva, i villici stavano meditando desolati sopra quel Natale di disappunto. Ma il "Barba" (l'uomo dal trombone) che aveva subodorato in quella stalla un caso di svitellatura, improvvisamente dà fiato allo strumento tonante, sperando che la vacca spaurita si decidesse. Gli altri Ottoni lo seguirono istintivamente. I villici saltarono in piedi. La medicina empirica (ancor oggi sempre più va accreditando la terapeutica della musica come medicina spirituale) fece si, che sotto l'effetto della paura l'animale paziente sprigionò una fontana di materia verde, tanto verde che riempì di speranza il ventricolo dei tre Ottoni. La vacca fu salva e fu attribuito il miracolo alla " Stella". Calarono dai travicelli alcuni salami; dalla cantina salì il vino a secchi ed il contrabasso ne ebbe il suo mezzo quintale... I tre Re si promossero imperatori; il fante di spade avanzò grado anche lui... E quando la mattina dopo la compagnia della Stella, tornò al paese, accolta dalle campane di Natale, le quattro carte da giuoco erano fuggite traverso il vetro rotto, la Stella era rivolata in cielo ed i tre Ottoni ebbero bisogno di una abbondante ristagnatura, in tutti i sensi... Ma la vacca, la vacca fu salva!
COME SI FABBRICA UN RACCONTO DI NATALE
Da l'articolo de la rivista "Il Garda" de decémbre 1928
Giornalismo di altri tempi! Tempravo le mie prime armi in un foglio di provincia, dove stavo esercitandomi a scrivere per il teatro. Un lettore: Questa è nuova! E perchè non si è mai visto nulla della vostra produzione?... Mi spiego; non scrivevo commedie, ma prestavo l'opera mia per avere l'ingresso libero ad assistere agli spettacoli. Una vigilia di Natale, il Direttore mi fulmina con un:
- Spero bene, che lei avrà pronto qualcosa di bello e scritto, per il nostro numero numero unico. Io, che oramai avevo capito come per andare avanti, non bisogna mai dire di no o di non saper fare, risposi: - Naturale...! Ho quasi a termine un bel "Comte de Nòel". Anche il francese, fece il suo effetto ed io mi accinsi spavaldamente a mantenere la promessa per la sera stessa. Fresco delle letture fanciullesche del genere, mi si affacciarono subito due temi, fra i più popolari. Credo che non ne esistano che due, fra quelli in voga ed alla mano: - Primo: avere qualcuno a casa ammalato, nella notte di Natale e trovarsi in piena miseria. Il povero degente, chiede alcunchè di strambo e costoso e mancano i quattrini. Allora ci si butta follemente nella baraonda della vigilia in traccia di un cuore pietoso e qui v'è campo di notare il terribile umano contrasto, che passa tra la più raffinata baldoria di chi pregusta già la succulenta cena col fagiano e i tartufi, e l'amara disperazione, che ti esulcera il cuore… Secondo: Scegliere uno dei più interessanti campioni fra la schiera di coloro che tornano di lontano per riabbracciare i parenti, pedinarlo, impadronirsi della mia anima nostalgica, del suo fagotto, fargli pensare ciò che a noi fa più comodo ed a piacer nostro apparecchiargli a casa dei congiunti, che non lo guardino per traverso, un focolare acceso col ceppo crepitante, oppure semispento, a seconda del prezzo della legna. Mi attenni a quest'ultima risorsa, e adocchiate dal vicino libraio, certe cartoline di paesaggio nordico, suggestive ed originali, con effetti di finestrelle rosse, tetti bianchi di neve, slitte etc., ne acquistai una serie completa, accingendomi al lavoro.
Dunque, vent'anni prima che io me lo trovassi sotto mano, in codesta vigilia di Natale, Elia Fontanafredda aveva lasciato Ponte di Neve, per cercar fortuna in Siberia - come la regione, che più sì confaceva alla bassa temperatura nella quale era stato allevato. Ponte dì Neve è un sito dì alta montagna dove nevica a tempo debito, con tanta abbondanza ed insistenza, che le sue contrade portano nomignoli dì questo genere: "Stufacalda, Cento stalle e Sottozero". Elia Fontanafredda, aveva lasciato precisamente vent'anni or sono la contrada nativa dì Sottozero (a pari grado col suo termometro dì vita) dopo aver salutato a Centostalle un numero considerevole di parenti, che non erano bestie. Montanini, cervelli fini! L'ultimo ad abbracciarlo fu un suo fratello di latte per nome Celestino Sperainalto il quale ritto sul picco più eminente di Ponte di neve ed agitando una bandiera da coscritto, gli urlò che sarebbe andato a raggiungerlo, presto presto… Elia visse un ventennìo in quelle frigorifere regioni, alla caccia delle pelliccìe e senza provare un momento di nostalgia. Infatti, per lui, qualunque posto tentasse era sempre a... Sottozero. Lasciò che gli amici di Stufacalda, conquistassero le più alte e refrigeranti cariche del Comune; lasciò morire in pace tutti i parenti di Centostalle e quando capì d'essersi fatto un mezzo signore, spese un quarto delle sue economie per il viaggio e calcolò giusto il tempo di giungere a Ponte di neve per la vigilia di Natale, sicurissimo di fare una improvvisata al suo fratello di latte Celestino, l'unico amico sopravvivente, per unire i due destini in una speculazione di vacche, per le quali andava celebre e rinomata la contrada di Centostalle. Elia non pensò di preannunziare il suo arrivo. Di modo che lo troviamo qui in incognito con una berretta da ciclista in capo ed una palandrana a scacchi gialli e neri, come nel nobile gioco della Dama, che procede giulivo sulla neve della prima cartolina… Egli giunge così a Ponte di Neve, che nessuno lo guarda manco in faccia, abituati oramai da qualche anno, alla frequenza di forestieri più strambi e più a scacchi di lui. Sul laghetto gelato, uno stormo di montanaretti, col cosacchino di pelo e le code della sciarpa di lana al vento, festeggiano la vacanza con delle solenni sculacciate sul ghiaccio, che valgono quelle del maestro. Siamo in pieno pomeriggio. Sulla riva nevosa sono allineati tre casolari dì legno : uno giallo in fondo, uno azzurro, verdognolo il terzo. Sulla soglia di questo, una donna regge un bimbo e sopra lo stipite della porta è allogata la Madonnina col bimbo in braccio, quello che nascerà stanotte… Elia, sì ferma un poco e dirige i passi verso la chiesetta su in alto. Altri scolaretti giocano alle slitte, giù per i sentieri della collina, quello più esperto al timone, gli altri con le mani in tasca. Una mamma bada a tener da parte due suoi piccoli, troppo curiosi. Lassù, dietro il c iglione del colle, si affaccia un tettuccio bianco che se la fuma; poi il fronte giallo della chiesa, quindi il campanile color marrone scuro, con la tricuspide blu. Il cielo è madreperlaceo. Elia arriva affannoso sulla piazzetta del sagrato. Altri monelli più grandi, appena usciti di chiesa, hanno confezionato un fantoccio di neve e lo scultore sta soffiando appunto sulla punta delle dita, mentre un altro si è nascosto dietro il monumento, e due gli tirano palle di neve. Questa del fantoccio di neve, come si sa, è la più espressiva e commovente figurazione di una cartolina a soggetto natalizio.
Tutto attorno la deserta allegria dei tetti nevosi, senza passeri, senza fumo. Ad Elia, un singhiozzo strinse la gola e gli sì inumidirono gli occhi davanti a questa festività di giovinezza per lui tanto lontana. - Ma non ci sono uomini a Ponte di Neve, esclamò; non c'è un'osteria? Gli risposero: L'osteria è chiusa; gli uomini sono tutti in Siberia! Di uomini, a Ponte di Neve, non ci sono che io, sembrava intervenire il fantoccio grottesco con il cappello nero sulle ventiquattro e la pipa in bocca! A quattro ore, Elia si addentrò nella fitta boscaglia, che lo separava da Centostalle. Manco a dirlo, come nelle fòle, i primi incontrati furono due vecchiotti, che stavano legando le legne affastellate nella giornata. La vecchia aveva già la gerla attillata alle spalle, carica e guardava con aria malinconica il suo uomo tutto rosso in faccia, sopra il barbone bianco, che faticava a sollevare il peso del carico. - Aspettate che vi do una mano, proruppe Elia, che malgrado il suo passato di pelliccie, possedeva un cuore sprovvisto di pelo e sperava di abboccarsi con persone amiche locali. E su e su ci arrivarono. Ma non si riconobbero (non tutti i vecchiotti dipinti sulle cartoline, sono di Ponte di Neve). Tutto attorno, sorgevano piante d'alto fusto, colorite in mogano ed abeti da cui pendevano fiocchi di neve e diacciòli. La foresta parea popolata, a piè fermo, di un esercito di pini natalizi. Quante bestiole carine e preziose per rarità di specie e di mantello non incontrò sul tramonto di quella sera, Elia, nella foresta! Presso la capanna di un boscaiolo, tre caprioli stavano dissetandosi in pace ad una fonte viva. Sulla capanna era diffusa una luce d'oro pallido, che faceva apparire tutto cenere chiaro il terreno. Sul fondo di quella stessa luce, in bilico sul ramo contorto di una quercia, due scoiattoli rossi stavano leccandosi gli zampetti. Più avanti ancora, non so se fossero lontre o castori, si rincorrevano intorno ad un grosso tronco. Che dire dei leprotti accoccolati sulla neve, come sedessero su dei cuscini orientali e di quella magnifica coppia di cervi, che usciti coraggiosamente dal bosco s'erano arrischiati ad annusare al cancello della prima villa di Centostalle tutta lucente di vetrate gialle come si vede nella cartolina settima. - Ed io, bestia, mormorava Elia, che mi sono esigliato in Siberia per andare a caccia di pelliccie? Il segreto stava chiuso nella sontuosa villa sita al confine della foresta, la villa del principe, che ne aveva creato un parco da caccia. Quando Elia, stracco morto, giunse all'ultima cascina di Sottozero (la vecchia dimora abitata dal fratellino di latte, Celestino) lo colse uno di quelli smarrimenti di dubbiosità, che sono propri dei grandi filosofi, quando hanno già sublimato il loro sistema cosmico per cambiar la natura esegetica del mondo. Sedette sopra un blocco di neve, forse il primo nucleo di una valanga, con quella gravità con la quale si sarebbe riposàto sopra un rudero storico di antico castello e non gli dispiacque di aver conservato le sue brache di fustagno col fondo di pelle. Guardò attorno a sè... Lucevano le stelle nell'azzurro cupo del cielo dell'ultima cartolina.
La casetta di Celestino, dormiva sepolta sotto quattro strati di neve e l'albero accanto sembrava una grande scopa appoggiata lì coi fuscelli in alto, per dimenticanza. Non un lume, non una boccata di fumo. Il camino era stato scoperchiato dall'ultima tormenta. - Celestino, Celestino!... gridò Elia con quanto fiato gli restava in petto. N'ebbe in cambio un pauroso gelido silenzio di paesaggio fantasma… - Celestino...! Spera in alto! C'è Fontanafredda... Sono io, io Elia, il tuo fratello di latte... È la notte di Natale… Apri Celestino, per amor di Dio...! Il tetto fioccoso della casupola ebbe come una specie di ribollimento, un pigro sussulto di persona che si rivolti sul fianco sotto il soffice e çandido piumino tirolese. Una figurina nera, esile, coi capegli bianchi ed una piccola scopa in mano (così raffigurano la Befana) spuntò su dalla canna del camino ed una voce tremula fece: - Celestino; sei tu Celestino ? Così presto tornato? - Ah sei quì per passare il Natale con la tua vecchia! Vengo subito, sai, vengo ad aprirti; vengo, vengo. - E poi dicono male dei figliuoli, che si allontanano da casa. - E tacque… Elia, pensò di salire sull'albero a parlamentare, ma appena scambiate poche parole, ci fu qualcuno che tirò giù la vecchierella dentro il camino e l'albero si dimenò in tal guisa screanzata, che Elia cadde come un pero maturo e svenne… Assieme ad Elia, caddero anche due rami secchi in croce, si che tutto faceva credere che il nostro reduce fosse trapassato. Ma le apparenze ingannano! Il nostro Elia, quando apprese in un orecchio dalla sua vecchia nutrice che Celestino era partito due mesi prima per la Siberia, rimase molto male. Ma che cosa è andato a fare in Siberia? - È venuto a raggiungerti - rispose la vecchia. -- È venuto ad abbracciarti ; non te lo aveva promesso, vent'anni fa? Quì a Sottozero, di uomini non c'era rimasto che lui. E tutte le donne lo volevano e lo perseguitavano. Fui io stessa a consigliare: -Va, gli dissi, figliuol mio, va a passare il Natale fra le braccia di Elia e tornate presto tutti e due che farò di tutto per attendervi... Non lo avete incontrato per via? lo sono morta, quasi subito. Non ero avvezza a vedermelo partire… ! Queste sono le parole che ricordò Elia, quando rinvenne e quando si accinse ad invocare aiuto! Ma chi poteva prestar orecchio alle invocazioni di Elia se non uno stormo di corvi fedeli alla tradizione del suo omonimo profeta? Ben vennero essi ed il capo-stormo teneva appesa al collo una fiaschetta di acquavite… Riavutosi dalla grande disillusione, Elia, ridiscese di corsa verso Ponte di Neve, dove non sapendo con chi prendersela, abbattè il fantoccio, dal cappello storto, a colpi di bastone. Ascoltò la messa della mezzanotte, per purificarsi da quello che gli sapeva di indemoniamento… Ma accortosi, che il tiro birbone glielo avevo giocato proprio io, mi capitò improvvisamente davanti mentre apponevo la parole fine a questo racconto e mi stracciò le cartoline sul muso!
MIE ZIE, LE PARCHE - racconto straordinario
Da l'articolo de la rivista "Il Garda" maio 1928
Sotto una quercia millenaria, sotto l'albero della Vita, siedono le Tre Parche. Cloto, raccoglie il canape dalla rocca e segue con infantile curiosità il giro della spola.
- Lachèsi, trae a sè il filo, lentamente e ne studia la lunghezza interrogando sulle scritture le vicende dei singoli umani. Atropo, taglia...! Allora, come in minuscola necropoli, lì accanto, miniatura dell'immenso campo-ossario terrestre, una parvenza, un'ombra di corpo si insinua e si adagia furtiva nell'orto delle Parche; allora fra il dialogo dei morti risuona la fisarmonica bugiarda e scordata del necrologo, uscente dal buio di una grotta, come da una macchina parlante.
- Ah, ah! stride Lachesi, buttando uno straccio di pergamena più o meno sporca di sangue e di baratteria, giù giù nell'archivio delle frottole e delle ambizioni. Tutte cose nuove e tutte rancide. Dalla mummia al lenzuolo, dal rogo al forno crematorio, dal sacrificio all'ignominia, il prodotto non cambia. Cenere e vermi, vermi e cenere! - Geni, Dei, Semidei, eroi, martiri e patrioti, liberi e schiavi, tutto filo da forbice, soggiunge Cloto inumidendo con l'eterna saliva le bave del filo ritroso a scorrere sulla nuova spola. Molta saliva occorre per dar corso alla vita!... Atropo taglia ! Quel cimitero era il trastullo, il campo sperimentale delle vecchie e non di rado vi si indugiagiavano ad ascoltare il piacevole conversare dei morti famosi, poichè appunto quello non era che una specie di famedio, al quale avevano collaborato i migliori spiriti dell'Ellenismo e della Latinità. E così affioravano alle prode del campo delle voci vaganti, or diffuse e chiare, ora sperse e involute, di un sommo interesse per quelle tre filosofastre megere.
Eccone qualche saggio tolto allo spirito dei "Dialoghi dei morti" di Luciano:
Menippo: Dove stanno o Mercurio, i belli e le belle. Conducimi ad esse poichè sono di fresco arrivato.
Mercurio: Non ho tempo Menippo, ma guarda a destra e vedrai: Giacinto, Narciso, Nereo, Achille, Tiro, Elena, Leda, insomma tutte le bellezze del tempo antico.
Men: Non vedo, che ossa e teschi spolpati, quasi tutti simili fra loro.
Mer: Eppure queste sono le ossa, che i poeti decantarono già tanto, e tu le disprezzi ?
Men: Additami adunque Elena, giacchè qui distinguerla non saprei.
Mer: Questo teschio fu Elena stessa.
Men: Com'è possibile, che per questo teschio mille navi sieno partite dalla Grecia! Tanti greci, tanti barbari si sieno fatti uccidere, e tante città rimaste distrutte !?
Mer: Ma tu non vedesti o Menippo, questa donna quando era viva, altrimenti avresti detto tu pure, che erano giusti i più lunghi patimenti per una donna tale. Chi vede i fiori seccati e scoloriti non trova più in essi bellezza. Men: Questo è quello appunto che mi fa stupire,
Mercurio, riflettendo che i Greci non capirono, che si affaticavano per un oggetto tanto prezioso, che perdea così facilmente il suo fior di bellezza.
Mer: Non mi riman tempo o Menippo per teco filosofare.
Scegli quel posto che più ti aggrada che intanto me ne andrò a prendere degli altri morti.
Menippo: Per Plutone; o Eaco, conducemi e veder tutto nell'Inferno.
Eaco: Non è facile veder tutto.
Men: Mostrami quelli uomini antichi e più specialmente i più celebri fra essi.
Eaco: Questi è Agamennone, quegli Achille; poi Ulisse, Aiace e Diomede.
Men: O là O mero ! Come questi splendori del tuo poema, giacciono sconosciuti e deformi,
tutta polvere, prette bagatelle e veramente miseri capi. E costui chi mai egli è, Eaco !?
Eaco: E' Ciro. L'altro è Creso; dopo di lui Sardanapalo. Dopo costoro Mida. Quegli è Serse!...
Men: E di te, avanzo di sepolcro, avea terrore la Grecia? Quando facevi ponte dell'Ellesponto, e ambivi navigar sopra i monti. In quale stato è Creso! Ma permettimi o Eaco, che dia un cazzotto a Sardanapalo!
Eaco: Non posso; gli faresti in pezzi quel cranio di donna.
Men: Almeno voglio sputargli addosso.
Eaco: Vuoi che ti additi anche sapienti?
Men: Sì per Dio!..
Eaco: Questi che vedi per primo è Pitagora - Questi è Solone, Pittaco e gli altri.
Men: Ma Socrate, o Eaco, dov'è?
Eaco: Vedi quel calvo?
Men: Sono tutti calvi.
Eaco: Dico quello senza naso.
Men: Sono tutti senza naso, quì.
Socrate : Cerchi di me, Menippo ?
Men: E con grande brama, Socrate!
Socrate: Che si fa in Atene?
Men: Molti fra i giovani dicono di filosofare.
Socrate: E di che si pensa?
Men: Crede oguno, te essere stato un uomo ammuabile, e che abbia tutto saputo. E ciò non sapendo cosa alcuna. Socrate: Eppure io diceva tra loro la stessa cosa; ed essi credevano che io parlassi così per burla...
Fu così, che una bella mattina, attirato dal benevolo invito di una frasca di alloro, non mi fu difficile entrare nella dimora delle Parche. Erano trascorsi parecchi secoli dai sopraccennati discorsi e le vecchie Elleniche, convertite al Cristianesimo, avevano abbandonata la quercia, abbattuta da un fulmine, e s'erano fabbricato una casetta, prendendo mappalto tutto il da fare della mortalità latina. Non una rocca, ma cento arcolai ronzano, nella vasta cucina e la ruota di un mulino li fa girare veloci, mentre un canale d'acqua sporca, la corrente della vita, governa il giro della ruota motrice. Cloto, sorveglia il meccanismo del molino. Lachesi ha gli occhiali ed un monte di romanzi da sfogliare (ogni vita d'uomo vale un romanzo). Atropo taglia! Fuori dalla finestra si scorge la interminabile sequela dei cimiteri. Quello, in miniatura, il trastullo delle vecchie, contenente i cimeli più insigni della storia e della filosofia è ridotto ad uno stagno pieno di rane, forse quello di Aristofane... Ma nell'attuale funebre distesa, ogni colpo di cesoia fa sorgere una croce, ogni cento croci una lapide, ogni dieci lapidi un mausoleo! Quando mi presentai alle tre maghe come un viandante a caccia di fantasie, il lavoro era intenso: Giù nella valle sul dosso di un monte si agitava una parvenza di battaglia; s1 scorgevano le nuvolette di fumo seguite dallo scoppiettio delle fucilate; gli arcolai turbinavano. Lachesi parea che sfogliasse in fretta un grosso libro, che so io, un Dizionario quasi a cercarvi invano la parola: Pace! Ed il filo correva per la cucina, come impazzito, affiuendo alle cesoie di Atropo, che si aprivano e chiudevano ingorde come il becco di un anatrottolo. si udivano in confuso grida di dolore, comandi di ufficiali, bestemmie di feriti e di vinti. Quando la pugna ebbe tregua, Atropo lasciò cadere le braccia e le forbici restarono pendule lungo il grembiule. - Quanto è dura la lotta per la vita! E come si amano gli uomini! Cloto, corse a dar olio all'ingranaggio del molino!
Verso mezzodì le tre vecchie distesero la tovaglia sulla pietra del focolare e vi si assisero intorno a colazione. Invitato io pure non rifiutai per timore di una rappresaglia, nè vi so dire il gusto di quei cibi nè di quali conversari fosse condito il simposio. Posso dir solo che non si parlò di morti a tavola. Soltanto mi parve, che le vecchie l'avessero su tanto coi medici con gli antisettici e con la scienza in genere. Ognuno per la propria vocazione. Dopo un poco Cloto aumentò l'acqua al molino; Lachesi spiegò a caso un giornale e Atropo riafferrò le cesoie. Tre colpi secchi ! Una comitiva di giovani alpinisti era precipitata in un crepaccio del Cervino. Diritto in piedi dietro lo sgabello di Atropo osservavo muto... Essa moveva adesso, automaticamente, le forbici, distratta e sazia. A poco a poco la vidi chinar la testa sul petto arido e il beccheggiar delle forbici rallentò sempre più fino a chè cessò del tutto. La parca digeriva... Indicai la dormiente a Lachesi strizzando di occhio. Questa ebbe come una smorfia di compatimento che parea significasse: - Poveretta, invecchia anche lei. Intanto il filo scorreva rapido e leggero sfiorando il grembiule e le cesoie pendule come la rondinella sfiora le gronde del tetto ospitale con la punta dell'ala, ed io gioivo di quella sosta e avrei voluto gridare al mondo intero: Fratelli, la morte riposa, non fate rumore, se no guai a voi! E allontanavo con un fazzoletto le mosche importune e rattenevo perfino il respiro. Ad un tratto risuonò nella cucina un piccolo schianto secco.... Mi chinai a guardare ed in quella Atropo alzò la testa bruscamente urtandomi la fronte, che dette un rumore di cranio vuoto.
- Maledizione, urlò agitando le cesoie, il filo si è rotto!
Il filo della vita, infatti, pendeva rotto e sfilacciato come per uno sforzo sovrumano (non è tanto facile rompere il filo della vita). E l'uno dei capi tendeva verso la scarsella di Atropo come per guardarvi dendro, l'altro parea vieppiù sottrarsi alle cesoie come arricciandosi in sè stesso...
Lachesi accorse:
- Che cosa t'è accaduto, sorella?
- Il filo si è rotto ancora una volta.
- Il filo della vita?
- Già, non quello delle calze, certo, rispose iraconda la deprecante. Proprio il filo della vita, che tìen su noi e il molino! Lachesi teneva fra le mani un libro al quale s'era dimenticata di tagliare una carta. Vi ficcò dentro un dito stracciando nervosamente e lesse:
"Il giovane Werther, stanco di sperare, disilluso nell'amore, minato nella fede e nella salute, esule di patria, credette bene di troncare il filo della sua vita, senza domandare il permesso alla Questura e tanto meno al Ministero delle Parche, con un colpo di rivoltella... Lachesi rinchiuse il libro mormorando, assorta:
- Che cosa è questa forza che ci vince e deride?
Che cosa è qnesta volontà che ne schianta
il filo della vita ed irride alle cesoie di Atropo?
Cloto, intervenne:
- E' una forza che ci fa concorrenza e ne condurrà alla rovina. Dovremo dar di catenaccio al molino! Chi ha rotto il filo? gridò Lachesi agli arcolai...
- Chi ha rotto il filo ? frullarono gli arcolai al molino...
- Chi ha rotto il filo? batterono le palette del molino alla corrente...
Un uomo, o la parvenza di un uomo, certo l'anima di un disperato, che non era riuscito a
liberarsi del suo abito ancora da pagare, si dibatteva nelle acque della corrente e vedendoci
affacciati al finestrino come tanti mugnai infarinati di polvere cineraria, gridò:
- E' questione di un briciolo di ferma volontà. Muoio perchè ho voluto morire !
Il suo corpo andò a frantumarsi nella ruota del molino ed il filo si ruppe ancora una volta,
senza che Lachesi potesse rintracciare la storia di quella misera vita...
Ed allora si raccolse un tremendo cicaleccio, che rispondeva alle mute interrogazioni, delle tre
Parche: Sì, le onde della corrente narravano alle rive, che infinite vite perivano volontariamente nei gorghi. Gli alberi sussurravano, che strani frutti dal collo allungato e la lingua fuori un palmo, pendevano ai loro rami più forti; uno stormo di rondini, garriva agli alberi che molti amavano precipitarsi a capo fitto dalle finestre e dalle torri, anzichè discendere per le scale; che nelle soffitte le crestaie si asfissiavano col carbone dolce per una cosa da nulla; che nelle cucine le servette inghiottivano quella deliziosa bevanda con la quale si fan diventar lustri i secchi, per una ramanzina della padrona; che nelle caserme i soldati si sparavano sotto il mento premendo il grilletto dell'arma con il pollice del piede, per un abbandono di fantesca o per una punizione; che negli appartamenti sontuosi infine i banchieri rovinati dalla Borsa si bruciavano le cervella e le cortigiane sentimentali si svenavano nel bagno.
- Di questo passo dovremo dichiarar fallimento, concluse Atropo, lasciando cadere una lagrima,
che pareva quella di un cocodrillo. Ma io impietosito sulla sorte di quelle tre ignare della follia moderna, m'affrettai a spiegar loro che il fenomeno esisteva pur troppo, ma era un portato della estrema velocità con la quale la vita d'oggi corre verso il soddisfacimento delle più ardite ed insane passioni. E' certo e naturale che molti sieno i fili che si rompono in questa turbinosa e tragica trama. Ma due grandi forze, l'amor di Dio e quello del prossimo saneranno anche questo turbamento psichico, che fa capo al suicidio, il quale racchiude in sè il germe velenoso, del senso della libertà assoluta e incoercibile, quella di troncarsi il filo della vita come se fosse un cordone ombelicale. Ma a questo punto perdetti anche il filo del discorso e cercai di accomiatarmi da una così singolare visita. Le Parche mi osservavano come fossi un essere sovrumano, un semidio di quelli che popolavano il loro famedio.
- Sono un giornalista, mi rivelai, ed in fatto di suicidi me ne intendo_ Come posso sdebitarmi
della intervista con quelli che io chiamerò "Mie Zie, le Parche"?
- Oh! niente, rispose Cloto: io desidero un motorino elettrico, perchè la ruota del molino è
marcia. Capirete, mi tocca far le pale con le vecchie casse da morto...
- Io, continuò Lachesi, desidero i due romanzetti del giovine Werther coi suoi dolori e le lettere di Iacopo Hortis. Devono essere carini quei due rompitori di filo.
- Ed a me, concluse Atropo, non avete che da inviarmi una quarta Parca, che mi aggiusti i fili, che ce ne danno tanto da torcere.
- Volontieri, zia mia ! Vi manderò qualche bella "fìlera" o "scoatina", come le chiamano da noi nel veronese, le ragazze che aggiustano i fili rotti nelle filande... In quella, la casa, il mulino, la suppellettile, ebbero un sussulto ed un'ondulazione, che pareva di andare in giostra...
- Questo è un terremoto in piena regola, spiegarono le Parche. Al diavolo voi e tutti i rompitori del filo. Adesso, possiamo accompagnare alla vicina stazione l'ottimo nostro ospite, perchè il molino s'è guastato... Li conteremo dopo...! Alla stazione, il bigliettario sbirciandomi per sotto lo sportello, deve aver mormorato in cuor suo: Quante zie, ha quest'uomo! Beato lui che erediterà presto ! E il convoglio filò via senza disastri. Certo che sono al mondo per miracolo. Ma ho pensato, che tra me giornalista e le Parche c'era di mezzo un magnifico punto di contatto, un vincolo palese di parentela. Un paio di forbici!
Nota. - Le Parche, dal greco Mira, che ha il significato di: porzione assegnata, quindi quella porzione di vita che a ciascun uomo è assegnata, la durata e il destino della vita stessa e la morte fissata a cbi vive. In Esiodo per la prima volta le Parche compariscono in numero di tre: Cloto, la filatrice; Lachesi, la dispensiera; Atropo, l'inevitabile, figlie della Notte. I poeti dipingono per lo più le Mire o Parche come vecchie e brutte, ma dall'arte plastica son rappresentate come fanciulle dal severo contegno. L'Arte più recente dà a Cloto una rocca in mano, a Lachesi per indicare i destini, un globo ed un rotolo di scritti. E Atropo taglia il filo, o tiene una bilancia, o mostra l'ora della morte sopra un oriolo a sole (meridiana). Stoll - Mitologia - Firenze - Paggi 1874). - Luciano di Samosata, nacque, si crede, al tempo dei Antonini. L'hanno paragonato a Voltaire, ma di questo grande non presenta che una delle faccie.
CARNEVALE IN PROVINCIA
Da l'articolo de la rivista "Il Garda" febràr 1929
1. Lalla
Primo passante: Per favore, che cosa avviene là in fondo? Una strana figura s'agita e cammina incontro a noi scampanellando. Scusate ma ci vedo poco...!
Secondo passante: È Lalla, la conosco, una giovane donna vestita da maschera, che strilla.
Primo passante: Perchè strilla? Io ci sento anche poco...
Secondo passante: I di lei occhi scintillano sotto il volto di cartapesta cerata. Ha i capelli neri spioventi sulle spalle nude e grassoccie. Giù per la schiena e nella fossetta del petto il nevischio si strugge ed essa manda piccoli gridi di brivido. Ecco perchè strilla!
Primo passante: Sembra che si faccia più vicina a noi. Eccola!
Secondo passante: Guardatela. Con una vecchia cortina a fiorami s'è cucita il farsetto. I calzoni presi a prestito, sono di velluto cremisi sbiadito, da dove scappan fuori due stivaletti neri da uomo, inzaccherati. Un branco di monelli le fa seguito per carpirle qualche manciata di congetti.
Primo passante: A desso la vedo. Piange.... Perché piange?
Secondo passante: È la maschera che piange. Sotto la maschera ride la pelle del viso.
Primo passante: E sotto la pelle? Io ci vedo poco.
Secondo passante: Sotto la pelle ride il teschio. Il burlone ride sempre.
Primo passante: E non ha una madre questa giovane donna?
Secondo passante: Altro! La madre fa la lavandaia, ma adesso sta dormendo nel suo letto, affranta dalle fatiche. Intanto Lalla è scappata di casa per farsi portare al veglione.
Primo passante: (salutando) E l'onore?
Secondo passante: L'onore, è andato avanti a comperare il biglietto!
2. La tavolozza che balla
Il carnevale è un tristo e pazzo pittore… Per la via che mette al teatro, camminano i gaudenti,
frettolosi come formiche, ed ognuno porta in bocca un fardello di pensieri da abbandonare nell'
atrio, in compagnia del soprabito. Il peristilio del teatro è anche la guardaroba dei fardelli tristi. La sala del veglione, sfolgora per tutte le fantasie della baraonda, spopolata un poco in principio, con la folla che gira muta, disattenta, indecisa, timida quasi… Il Carnevale, tristo e pazzo pittore, è stato uno dei primi ad entrare, ha scosso l'uno con uno spintone, ha soffiato in un orecchio ad un secondo e mescolandosi con la folla, ha gettato in mezzo ad essa la sua tavolozza ed è scomparso. Videsi allora una meraviglia! Non appena la tavolozza toccò il suolo, dilagarono le tinte, rapidamente, quasi rotolando come le goccie di mercurio di un termometro rotto e da tutti gli angoli sbucarono fantasime colorate che ruppero la monotonia degli abiti neri; sorsero in una parola le maschere, che si accoppiarono per la danza. Fra di esse v'era anche Làlla! Il Carnevale è tristo e pazzo pittore...! I suoi colori volgari tentano in modo irresistibile; scappano le tentazioni su per le loggie, nascondendosi nei palchetti di proscenio e nei camerini delle artiste. Si accoppiano e saltano le figurine della tavolozza, forman quadriglie e serpenti iridati, che si snodano sotto l'impeto della musica degli ottoni e della gran cassa, si separano e si ricongiungono a ciambella in filoni grossi come fiumane, ad urtoni, a contatti, a raffiche di carne umana, che si inseguono e si riuniscono. Semhra questa folla come sospinta dalla paura ma nel tempo istesso è vinta, attratta dalla curiosità di una analisi di piacere traverso lenti di spasimo dolorante e delirante in un' aura di voluttà morbosa e ricercata. Il carnovale è tristo e pazzo dottore… Scoccano i baci, sulle spalle nude e roride di sudore, come marchi arroventati di vergogna e sfuggono dei piccoli morsi sotto l'orecchio, come fanno le oche in amore. Le scarpe grosse della soldatesca, si appostano, si slanciano, si abbattono su delle scarpine tenui, magari dorate... I piedini strillano - qualche schiaffo vola. Sono schiaffi di amici di antica data che litigano nel mistero di un palchetto drappeggiato di rosso per una bagascia ancor essa di antica data, ammantata di giallo. Salgono dalla platea voci rauche, imprecazioni, parole di scherno, e queste parole arrivano al loro indirizzo tutte coperte di polvere, come fossero staccate da un libraccio antico. Scoppia un battimani. Tutti guardano in alto. Gli è che una mascherina si è calata già da un altro palchetto di prima fila ed è rimasta sospesa un poco, trattenuta per le gonne, fino all' arrivo di un pompiere in corsa che la raccoglie fra le braccia. I defenestratori della mascherina si affacciano coi gomiti sul palchetto di velluto. E questo, come gli altri crocchia per i tarli compressi di migliaia di rimorsi. Lalla compare sorretta sulle spalle da due gentiluomini. Il suo visino pallido ha l'aria di una malinconia allegra fra due allegrie stupide. - Paff!... Una bottiglia di Asti spumante irriga il seno quasi scoperto di Lalla, che lava così le malefatte del suo onore da vera figlia di lavandaia d'acqua corrente, e grida follemente: - Evviva la vita! - Carnovale, è uno smemorato e triste pittore... ! Quando all' alba del primo di quaresima, il briccone tornò dal teatro per raccogliere la sua tavolozza e chiamò i colori a raccolta, parte di essi erano fuggiti in carrozza chiusa; altri, ubbriachi, dormivano sconciamente sotto i leggii dell'orchestra, ed erano tutti guasti. I soli domino neri, e silenziosi domino, risposero all'appello. Il pittore scappò, ma fuori del teatro s'incontrò con l'unico simbolo o residuo di un'orgia notturna: il Rimorso - eterno disoccupato (A chi rimorde ora mai più la coscienza ?) Suonavano le prime campane di quaresima, campane di nebbia… - Dove sono i miei colori ? - domandò il Carnovale pazzo e pentito pittore, la cui tavolozza mal si reggeva in gambe. - Parte sono laggiù... - rispose il Rimorso (che non era altro che uno dei due passanti che abbiamo trovato nel capitolo di Lalla, quello che ci vedeva di più) - e da una casa di piacere, scoppiò la tosse dai petti infranti; altri ancora vanno alla predica - ed accennò ad una processione di donne velate, che affluivano alla chiesa più vicina. "Memento mulier...!" Erano i domino neri che avevano perduto la maschera. - Seguitele - gli consigliò il secondo passante; vi troverete loro addosso un buon miscuglio di ipocrisia sul viso pallido e del bistro attorno agli occhi pesti. Esse vanno a ricevere le ceneri per poter fare le bragie coperte durante la quaresima. Il pittore entrò nella chiesa. Un quaresimalista, domenicano in tonaca bianca, tuonava dal pergamo: - Il Carnevale tristo e pazzo pittore...!
3. La maschera della malinconia
Mio buon Signore la conoscete? Essa è come una lama di Toledo suggestiva, tagliente. Ferisce solo a mostrarsi di lontano e rifrange raggi pallidi... Ma come sono tristi i raggi della malinconia ! La conoscete signore? Essa è donna eppure non chiacchera - muta come un pesce essa vi guizza nel sangue e lo rende grosso e viscido, come le acque di una cisterna… - Di notte è vestita di nebbia, di quella nebbia tessuta di vapore impalpabile, che avvolge il cervello e gli preclude la via del sole. - Signore, io la ho vista la prima volta, una sera di carnevale, dentro la vetrina di una mercantessa di dolori e di maschere, da poi che il dolore va raramente disgiunto dalla maschera. - Allora io ridevo come un matto e tutti ridevano attorno a me. Forse ridevano perchè ero giovane enon avevo una damigella al fianco da condurre al veglione. Ciò mi parve assai ridicolo, perchè tutti i miei compagni ne erano provvisti. - Prenderò anch'io una dama e così non riderà più nessuno. Malinconia, se ne stava tranquilla dentro la vetrina della mercantessa, mentre le altre maschere facevano le boccacce. Ne chiesi il prezzo e la mercantessa rispose: - Prendetela, non costa niente! Malinconia mi si attaccò al braccio ed uscimmo dal negozio. Non ho udito la mercantessa borbottare: "Auff, la mia bottega tornerà allegra finalmente! Te ne pentirai". - Quella sera siamo andati al veglione! Essa aveva il viso coperto da una mezza maschera di color rosso e bigio. In principio ridevo come una volta e tutti ridevano intorno a me. Poi con l'accentuarsi dell'orgia, cominciai ad impallidire. Malinconia, mi si stringeva ai panni fredda come una moglie di marmo. Come? C'erano delle donne che io conoscevo per oneste che ad una certa ora si levavano la maschera e mostravano il viso accaldato dal vino? C'erano dei mariti scappati dalle mogli, delle mogli scappate dai mariti? Persone che io sapevo autorevoli e saggie avevano una barba finta ed un naso posticcio? Accesi un sigaro per distrarmi. Salivano le nuvolette bianche, agili e profumate dilatandosi in nastri e cerchietti. Malinconia si cavò la maschera ed agitandola alla maniera dei giocolieri giapponesi, raccolse quel fumo e me lo cacciò negli occhi. Ed io vidi tutta quella gente muoversi a ballare furiosamente e dopo le maschere, dopo i nasi di cera, dopo le parrucche si contraffarono i visi umani, si sparsero i capelli delle donne, scorse il belletto sfatto per le guancie e la tintura miracolosa per la testa, il pensiero diventò osceno, la parola rauca e cattiva, il ragionamento pazzia. Mi portarono una bottiglia di vino, e bevetti per stordirmi. Scendeva il vino giù per la gola avvolgendomi in una dolce ebbrezza e le buone idee si svolgevano in nastri e cerchietti.
Malinconia si cavò la maschera per la seconda volta ed agitandola alla maniera dei giocolieri giapponesi, mi intorbidò il vino ed il cervello. Allora mi apparve tutta quella gente, perduta ogni umana sembianza, spogliarsi della carne e contai centinaia di scheletri scappare per i meandri del teatro, e rifugiarsi su pei palchetti mentre un cumulo di vestiti di maschera e di scarpine giace<va sul pavimento. Malinconia, mi si gettò addosso delirando ubriaca di quella triste egoistica voluttà che dà il dolore degli altri e quella fu la prima notte del nostro sposalizio. Da quella notte, trascino la mia catena!
LE INVENZIONI DEL CERUSICO COLTELLI - cap.1
Da l'articolo de la rivista "Il Garda" del dugno-luio 1928
Come qualmente passai all'altro mondo. E come ebbi la testa devastata. Vent'anni! A quell'età, tutto è permesso in letteratura, anche di scrivere un racconto straordinario sul genere di questo, che sto per offrirvi, dove le frasi fatte ribollono fior di pentola, come le fave in una zuppa di magro, alla certosina. Quella delle "frasi fatte" è una malattia come un'altra che affliggono l'umanità. Ognuno ne possiede una certa dose e la adopera come i pezzi di un domino, ora in testa, ora in coda del gioco, per tener su, a modo suo, più o meno tempestivamente, la povertà del discorso o lo spirito del conversare…
A vent'anni adunque, m'ero allogato in qualità: di apprendista, presso il più furbo campione dell'imbroglio forense, che avesse mai avvelenato le liti private della mia cittadina natale. Abbandonato il Liceo e provveduto di un certo corredo di cognizioni classi-che, che valgono molto meno di una buona cassa di nozze piena di odorosa biancheria, godevo di un certo prestigio sui così detti "giovani di studio" miei colleghi, il più anziano dei quali toccava la settantina. Anzi, costui era invecchiato precisamente sopra un'unica lite, che aveva fruttato al patrocinatore, padron nostro, avvocato, un castello con l'annesso titolo di conte, una vasta ed opima fattoria, pure annessa e persino l'orologio d'oro del cliente.
Quest'ultimo era riuscito a farselo consegnare, quale estremo e disperato acconto sulla parcella generale, adoperando una vecchia ma suadente frase del gergo anglo-americano che anche il tempo (ed alludeva all'infelice oriolo) è denaro. Avviato così, tal quale m'ero proposto, verso il
forense arringo, non dimenticherò mai certi sonnellini stiacciati tra un incartamento e l'altro,
i quali sembravano stornelli o madrigali emarginati su di un vecchio codice del bel Quattrocento. E in quel mentre che sognavo le future orazioni in difesa dei miei clienti, mi
pareva anche logico e prudente di saperci dormir sopra. Quando però l'incerto avvenire mi si parava davanti più fosco ed accigliato che mai; ed uno sgomento accasciante, mordente, mi atterrava con violenza tale da togliermi l'appetito ed il sonno (le due fortezze che rendono quasi inespugnabile la mia salute di ferro) mi proponevo il seguente dilemma: 1° - Dovrò io prendere la laurea di procuratore ad lites con l'occulto fine di portar via i migliori clienti al mio ottimo principale e maestro? 2° - O non fia partito migliore quello di varcare l'Oceano, sia pure il più rassicurante, il Pacifico, in cerca di fortuna (in greco: Ti che) la dea del Caso e della Ventura, la quale tiene in mano il timone della vita, ma che in sostanza, vede ed aiuta chi le pare, soltanto quando è cieca? Le indiscusse qualità di giovane onesto ed incensurato e con qualche grano di sale in testa, mi buttarono al mare. Così il vecchio giureconsulto restò orbato di uno dei suoi, fedeli sì, e meno retribuiti collaboratori e non saprà mai l'eccellente uomo, quale e quanto pericolo abbiano scampato le sorti del suo antico studio se, per avventura vi avessi continuato fino alla perfezione i miei sonnellini.
Uno dei soliti compagni di Scuola, che mi aveva preceduto nel gran cimento agli Stati Uniti d'America, mi invitava laggiù con quell'entusiasmo che elettrizza tutti gli... arrivati fin là, nel nuovo mondo… "Vieni liberamente - scriveva - ti aspetto a braccia aperte! Ho trovato per te uno di quelli impieghi, nei quali si incomincia con niente; ma poi si monta senza accorgersene, si monta sempre più in alto (qui da noi le case arrivano fino ad una cinquantina di piani) e si finisce con lo sposare la figlia del padrone, che ti porta in dote un miliardo". Fin qui la lettera. Proprio l'impiego che sognavo io; ma l'amico non diceva quale. Cominciare con uno
scudo in tasca... Poi ci si butta nella mischia, sempre protetti da quello scudo od usbergo, che dir si voglia; e di affare in affare, giungere a risparmiare somme enormi, non trascurando di leggere tutti i giorni una pagina o due di quel libro d'oro che è lo "Self help", il nostro: Volere è Potere ! Ma ecco che appena sbarcato in America, quel tal compagno di scuola, che doveva accogliermi "a braccia aperte" se le aveva spezzate, qualche giorno prima, cadendo da un'armatura nella quale era entrato, non in qualità di guerriero, ma di manovale muratore... Sciagurato ! E sali e monta, presso un grande imprenditore di grattacieli, a numero indefinito di piani, era precipitato da un mezzanino del primo e gliene mancavano ancora trentanove per poter chiedere la mano della figliola del proprio padrone! Privo così dell'appoggio principale, vagabondai .sei mesi per gli Stati Uniti, che mi parvero abbastanza discosti e divisi e poichè non trovavo fortuna nel campo delle Arti e Mestieri, ebbi la suprema ventura, che è anche una bella disgrazia, d'entrare nella redazione di un giornale italiano, il "Refugium Peccatorum", dove guadagnavo tanti dollari da mettermi in grado di telegrafare in patria: Ho trovato l'America. Apparecchiatevi ad ereditare dallo zio della medesima!
Svolgevo la cronaca giornalistica e ficcavo volentieri il naso negli affari altrui, tanto che una mattina me lo hanno... Ma non anticipiamo gli eventi. Una delle specialità, che ben presto mi guadagnarono il favore dei lettori e la considerazione dei colleghi, era quella di scrivere i fatterelli spiccioli in versi. Eccone qualche saggio:
I POMI PROIBITI.
Maria Ferrarese
con Santa Mariani,
uscian di paese
seguite dai cani;
e dopo aver domi
paura e rimorso,
rubarono i pomi
di Menico Corso!
Il frutto valeva
due lire! Sapete
o figlie di Eva,
le ladre che siete?
LA PIPA RUBATA.
Tutti san come si fuma
nella pipa vera schiuma;
e Giuseppe Pizzighella
che tenevala in scarsella,
ogni tanto vi fumava
e del fumo si beava...
Ma Lorenzi Giacomino,
condannato al vil bocchino,
involava a Pizzighella
quella pipa tanto bella.
E così il povero derubato, andando per fumare restò fumato. Non è a dire quanto questa semplice arte solleticasse la curiosità e l' ombellico dei lettori. Qualcuno la definì una vera americanata. E gli inviti a pranzo fioccavano, onde mi perfezionai anche nei brindisi, sul genere di questo:
Signor Mecenate,
al pari di Orazio,
da povero vaie
vi lodo e ringrazio!
Il "Refugium Peccatorum" usciva all'alba. Ed io per conseguenza nncasavo ad ore molto piccole, quando sbadigliano gli ultimi fanali, i gatti si danno una suprema spelatina di coda e i galli annunciano la prima messa. Ma questa, che m'ero procurata con la cronaca in rima, non era che una conquista di carattere borghese, un posto a tavola bisettimanale. Io sognavo la grossa, la forte avventura, che mi collocasse di punto in bianco sopra un piedestallo di fama, intento a rosicchiare il mio quarto d'ora d i celebrità... Mi sono sempre ripromesso un monumento così. E l'avventura non si fece attendere molto. Anzi, se debbo dire la verità, mi capitò troppo presto, tra coppa e collo, tanto da cogliermi impreparato nel sonno e, per mettere le mani avanti, dirò che non so ancora, se sia veramente accaduto, ciò che mi è occorso, come si concluderà nell' ultimo capitolo di questo racconto… Una mattina d'estate, mi svegliai bruscamente, mentre
per solito, uso staccarmi dalle braccia di Morfeo con una lentezza e cautela assai laboriose. Avevo sognato, che mi si stava tagliando il naso e le orecchie! Sbarrai gli occhi nella penombra e per quel barlume che traluceva dalle fessure della finestra, ebbi la sensazione, che qualcheduno scomparisse di sghembo, per la porta socchiusa della camera. Sì, uno strano fantasma piattiforme, una brutta figura umana, ridotta ad uno stato membranoso, o di bassorilievo, o di stoccafisso, per meglio rendere, s'era eclissata in quel punto...
- Quale incubo ! mormorai cambiando positura e riaddormentandomi. Lesbina, la cameriera, mi porta il solito caffè così verso le dieci. lo raccomando sempre a Lesbina di entrar piano nella stanza ed in punta di piedi. Ma essa, pur comprendendo la convenienza 'ed il valore di tale raccomandazione, abbandona sì le scarpìne sulla soglia, ma poi grida a perdi fiato:
- Buon giorno, signor padrone; il caffè si raffredda e fuori piove. Le scarpe sono pronte. Ecco la posta... Comanda altro? È difficile, anche nel nuovo mondo, portare alla perfezione il meccanismo di codesti loquaci ed adorabili edifizi in abito di mussola nera e cuffietta bianca.
- Lesbina, apri un poco quella finestra e lascia entrare, con grazia, tanto di sole, che l'anima contristata dai cattivi sogni, li discacci a poco a poco, senza averne abbagliati gli occhi. Mi sento la testa così leggiera, come l'avessero vuotata con un cucchiaio...!
Lesbina, manco a dirlo, posò il vassoio del caffè sul comodino e corse a spalancare tutte le finestre. Febo entrò di carriera, con il suo carro raggiante, villanamente, quasi la mia dimora fosse diventata uno stallazzo di diligenza e Lesbina, porgendomi la tazzina del caffè e sgranando il melograno candido dei suoi dentini, per l'abituale sorriso del "Dormito bene?" lasciò cadere il tutto sul tappeto ed urlò:
- Il naso, padrone?
Portai fulmineamente la mano a quella parte tanto essenziale del viso, che rappresenta il promontorio delle espressioni e mi sentii venir meno. Il naso era sparito, proprio il mio naso, spiccato via di netto, come un neo maturo, rubato, rapito, transvolato, inghiottito, fiutato...
I bordi della ferita erano cicatrizzati così bene, che un perito avrebbe giurato, che io mai fossi stato possessore di un naso, nn dalla nascita.
- Lesbina, te ne prego, dischiudi anche le tende e le vetriate. Desidero, da quel giornalista che sono, sia fatta tutta la luce possibile su questo orrendo mistero. La camera apparve completamente libera ed in pieno assetto. Soltanto la mia faccia era in disordine. Solo il mio buon naso era assente. Lesbina, dopo essersi ben mirata lei per la prima, mi porge uno specchio. Lo afferrai convulso e con la destra cacciai indietro con gesto melodrammatico i miei lunghi capelli inanellati di poeta decadente...
- Le orecchie, signor padrone! ? urlò per la seconda volta. E non avendo niente da farsi cader di mano, si lasciò andare su di una poltrona gemendo.
- Come, anche le orecchie ? strillai con rabbia. Le mani ripartirono alla volta del nuovo disastro e mi convinsi di non essere più un asino. Le mie grandi orecchie, foggiate ad imposta mobile, erano fuggite via e forse le sciagurate s'erano servite del naso come motore, di modo che non durai gran fatica ad imaginarlo con le due aluccie ai lati, trasformarsi in un cherubino! Pareva, che un cataclisma, una tromba marina, una catastrofe in miniatura si fossero scatenati sulla mia testa, abbattendo comignolo e verandine, assorbendo come un uovo, quanto di elevato e sporgente emergeva dalla periferia del mio capo. Avevo sentito parlare di isolette che, tratto, tratto, scomparivano subissate nel mare ed il fenomeno non mi apparve tanto strano. Anch'io ero diventato un soggetto degno di osservazioni scientifiche, poiché salvando le apparenze s'intende, io ci sentivo benissimo e la mia parola non possedeva per niente quell' accento nasale, che è proprio degli inquisitori e dei parrucconi.
- Lesbina, vien qua che apriamo un'inchiesta!
Ah sì ! Lesbina avvicinatasi alla finestra e tamburellando sui vetri fischiettava in spagnolo:
"El mirlo perdio el pico;
come hazerà piquelar?" che in buon italiano voleva dire, ironicamente:
"Il merlo à perso il becco,
come farà mò a beccare?"
Il merlo, naturalmente ero io. Quindi voltandosi lentamente si espresse: "Così, com'ero ridotto, non esistevo più quale un padrone in regola col contratto. Mi avrebbe piantato su due piedi, per mettersi al servizio di un commissario di Pubblica Sicurezza. L'inchiesta l'avrebbe aperta con lui! E chiese gli arretrati ed una buona mancia per lo spavento passato nella mattina. Sdegnato per la defezione improvvisa, l'ira mi rifece tornar padrone di me stesso, che è già un bel patrimonio, e comandai:
- La posta... Il giornale!
Concetta, la mia fidanzata, figlia di un grosso Importatore di conserva di pomodoro, scriveva:
Adoralo ben mio,
Quando ti solletico il nasino color di rosa, con la paglia dei sigari virginia scelti, che fumi a papà… tu sei il mio caro, il mio buono, il paziente mio innamorato. Quando arrivi in ritardo a salutarmi la sera e ti dò la meritata tiratina di orecchie, provo una vera soddisfazione d'amore, poichè tutto ciò è assolutamente chic e dilettevole... Stassera, alla solita ora, se no salvati le orecchie.
Concetta, tua.
La tempesta si addensava adunque sul mio capo, un capo senza la Buona Speranza. Avevo perduto la devozione di Lesbina e non potevo più presentarmi a Concetta. Qual fanciulla avrebbe più degnato di un solo sguardo, un mostro uguale, un simile pesce luna? Intanto Lesbina con la coda dell'occhio (un occhio, quando vede qualche cosa di curioso, scodinzola volentieri)
spogliava la corrispondenza.
-Padrone... Signore... E questo biglietto? L'ha portato a mano il fattorino del "Refugium".
- Dà qua!... Era un cartoncino tipo "Avviso di passaggio". Su di un lato apparivano disegnati a mano ed alla rinfusa, una quantità di nasi solitarì ed autonomi per la forma, nonchè delle orecchie appaiate come scarpine muliebri; ogni disegno era contrassegnato da numeri di catalogo. Sul diritto leggevasi la seguente dicitura:
"Coltelli" - Chirurgo ed inventore Fabbrica di pezzi anatomici animati per fisionomie avariate.
VIA DELLE RIPARAZIONI N. 13.
Massima segretezza.
Dunque il mio martirio stava per finire. La palma del medesimo ed il quarto d'ora di celebrità, ad avventura compiuta, stavano per arrivare. Via delle Riparazioni. era a due salti da casa mia. Un fazzoletto sul viso, come colasse sangue, quattro passi di gran premura ed a mezzodì ingresso trionfale in un ristorante di prima classe, con un bel naso nuovo e due orecchie da sirena marina, che sono fatte come le conchiglie. Lesbina, messa subito al corrente del segreto messaggio, si salvò appena dal mio entusiasmo in veste da camera, rifugiandosi dietro un paravento e motteggiando che essa nulla aveva da riparare!
LE INVENZIONI DEL CERUSICO COLTELLI - cap.2
Da l'articolo de la rivista "Il Garda" de agosto 1928
IN VIA DELLE RIPARAZIONI TRATTATIVE - Via delle "Riparazioni" spiegava a meraviglia le cause per le quali una commissione addetta a la nomenclatura stradale, l'aveva così designata. Ed ecco con quale enfasi e ardimento m'accingo a descriverla, onde possiate appagarvi della mia veridicità, senza correre alcun rischio o pericolo, caso mai vi saltasse il ticchio di un controllo.
- Dagli alti comignoli crollanti, da dove nemmanco più il fumo se ne usciva a buon agio per li pertugi, alle gronde nere e sforacchiate dalla ruggine ed ostruite da escrementi ed erbaccie di ogni sorta; dai cornicioni cotti dal sole e crepati dalle più remote e svariate scosse di terremoto, agli occhi tondi ed attoniti dei ripostigli sotto il tetto, dove neanche più i rondoni più selvaggi vi impastavano il nido; dai granai tenuti assieme a forza di chiavarde, ai locali sottostanti, dichiarati inabitabili per misure di pubblica sicurezza ed igiene; da questi giù fino al piano nobile (chiamato così perchè si affittava a quarti) dai poggioli senza ringhiera, dalle scale senza gradini, dalle finestre senza telari, dai telai senza vetri, dai vetri resi opachi dalla pioggia e dalle ragnatèle, fino al pia terreno, tutto, tutto era da riparare, compreso le coscienze dei disgraziati inquilini! Più di un padrone di casa s'era fatto saltare le cervella, per non essersi trovato in grado di restaurare del proprio, gli stabili posseduti in quella via maledetta. Lungo la quale, degno basamento a codeste eccelse bicocche della miseria armata di bastoni d'inferriate contorte e sbandierate di stracci al vento della peggior tramontana, s'aprono le botteghe. Sono antri di fornaci spente e derelitte, enormi gengive dalle quali sieno caduti a pezzi i denti ròsi dalla carie, trappole di ebrei polacchi, che mai saranno riconosciuti dal Messia, covi di zingari che hanno finito di errabondare per il mondo, camorre di accaparratori di ciabatte e cappotti fuori d'uso; aggiustatori di pipe rotte, di rosari senza paternostri, di ombrelli stinti, di tabacchiere senza coperchio, stoviglie crepate da cucire, lenti scompaginate, fisarmoniche sfiatate, tutto, tutto si speculava e si riparava in Via delle Riparazioni, fuori che la coscienza di certi inquilini! Un giorno, in quei paraggi, un capomastro di idee avanzate, piantò un ufficio di recapito con il seguente cartello: "Quì si abbreviano i gradini della scala sociale". Fu processato sotto l'imputazione di scalata
agli appartamenti dell'ordine pubblico… Nessuno ha più il coraoaio di affrontare il sotto-suolo di quella via. Si racconta fossero stati catturati dei topi così vecchi, gli antenati dei quali, avevano preso parte alla america lotta dei topi con le rane detta la "Batracomiomachia ne qualcuno aveva scritto più di un trattato sul modo di beffare le trappole e sulle cento maniere di rubare le uova nel paniere senza romperle, cavar l'olio dai fiaschi del vino toscano senza pompetta, praticar passag5i segreti nelle dispense etc. etc.
Coltelli, cerusico, quasi metafìsico, abitava da solo, una specie di torre incantata, forse perchè era sempre sfuggita all'incanto del fisco, e che egli concedeva in subaffitto a topi, nottole, civette, barbagianni ed altre stregonerie, che gli tenevano buona compagnia, come fossero stati canarini, gazze ladre, pappagalli parlanti, gatti di Angora, barboncini bianchi, tortore e consimili delicatezze domestiche. Per giungere a quello che doveva essere il mio salvatore, arrischiai una scala così stretta, che dovetti torcermi per isghembo. A capo di essa, quasi il mio avviso fosse stato spiato, c'era pronto a ricevermi umile e sorridente uno strano personaggio, la cui figura possedeva un taglio tutto diverso dagli altri uomini. Era quella di un ometto di statura mezzana, che nella costruzione del corpo ricordava la sogliola. Io credo che l'autrice dei suoi giorni (se l'aveva avuta, poichè poteva anche essere un parto di fantasia) durante il periodo della gravidanza abbia tenuto costantemente le palme delle mani pressate sul ventre, per arrivare a mettere al mondo un essere così piatto. Tale era costui; e dovetti riconoscere che gli si era imposto a meraviglia il cognome di: Coltelli, perché tutto era tagliente in lui, perfino il filo del discorso, e lo si poteva sintetizzare in un astuccio completo di ferri chirurgici. La bocca, lunga e stretta appariva una forbice chiusa. Le labbra, naturalmente, funzionavano da lame, così che una salsiccia introdotta in questo orificio era come fosse stata tratta alla ghigliottina. E quando egli atteggiò le sue forbici ad un sorriso, diremo così, sardonico, mi sentii tagliare panni addosso. Il naso era affilato quanto mai si possa immaginare. Se lo avesse ficcato dentro un volume intonso, certo che il tagliacarte era inutile. Le dita delle mani, altrettante pinzette...
Malgrado lo stato deplorevole della mia testa il cerusico Coltelli, fece mostra di niente e quando gli fui vicino mi accorsi, che quel suo primitivo che mi sapeva d i beffardo, s'era trasformato in un raggio di soddisfazione in un frammento di specchio di contentezza nel quale ebbi anche agio di contemplare tutte le mie disgrazie. Coltelli corse premuroso verso l'unica finestra poco più larga di una feritoia a strombatura per chiuderla, poi accostò una sedia, mi tolse il cappello che attaccò ad un chiodo, si fece in mille per usarmi un mondo di cortesie, che certamente non mi sarei aspettato in paraggi tanto miseri e strambi, che puzzavano di malora e di tradimento. Mentre l'ospite mio metteva in pratica quel mezzo capitolo di galateo da anticamera, non seppi nascondere la meraviglia di fronte all'arredamento del curioso gabinetto, nel quale non si scorgevano, che delle scatole di cartone, allineate su di una scansia ed i cui coperchi avevano dei fremiti quasi impercettibili, dei piccoli sussulti, dei vari palpiti di vita animale.
- Oh! pensai subito, saranno grilli canterini, topolini ammaestrati, farfalle, fatture di fornitori in sofferenza, farfalle notturne ed altri simili soggetti dei quali l'amico terrà collezione o custodia per esperimenti!? La Scatole e scatole...! Niente poltrone chirurgiche, bestie mostruose in ispirito, niente scheletri!... Tutto era impersonato nella figura anatomica tagliente del mio operatore. Il quale, senza tanti preamboli ed estraendo una tabacchiera, che doveva essere di tartaruga così lenta era ad aprirsi, mi chiese a bruciapelo: Fiuta, il Signore? È di contrabbando assoluto… Vero Campese italiano della Valsugana. E me lo manda un amico. Mi serve per rinsaldare i miei nasi, quando prendono qualche raffreddore. Iolo - No, grazie, non ho questo vizio. In seguito, forse, se…
COLTELLI - (con intenzione) Già, già; per gustare una presa di questa polvere voluttuosa, che è passata anche sotto il naso delle guardie di finanza, bisogna essere forniti pure del necessario strumento da fiato… cioè no, da... fiuto!?
Io - Proprio dello strumento che manca a me e che mi fu trafugato indegnamente questa notte, traverso la porta socchiusa della mia camera... Non mi lascio prendere a gabbo, insolente!
COLT. - (mellifluo) Volevate dire che non intendete che io vi meni per il naso... Oh, oh! Non usciamo di carreggiata. A proposito, vi piace la musica? La melodia? Il canto dell'allodola quello che (guardandosi d'attorno) ruppe il sonno e le scatole agli Amanti di Verona? Le voci della Natura, vi allettano?
Io - Ancora? (confuso) Tutto mi allettava, quando possedevo due piccoli alveari in grado di nutrirmi alla perfezione di codesto miele!
COLT. - Toh ! Siete anche senza orecchie disgraziato? Un tempo a Costantinopoli, le tagliavano ai ladri, ma una alla volta, le orecchie... Sareste per caso un recidivo?
Io - (esasperaTo per l'allusione orientale) Bando agli scherzi; voi dovete sapere com'è andata la faccenda, che per me è una dolorosa, strana e ridicola avventura. Sono venuto quì per questo. Ed il vostro cartoncino? Che cosa significa?
COLT. - Il mio biglietto, caro Signore, consideratelo come un messaggio, un appoggio della Divina Provvidenza, che ha scelto me, suo indegno sacerdote per mettervi alla prova. Oh, quanto vi sono lieto e riconoscente di questa vostra devota , rassegnata obbedienza, di questa visita insperata nella mia torre!
Io - E allora, signor sacerdote, cavatemi d'impiccio al più presto. Anche la Divina Provvidenza alle volte arriva in ritardo, come il soccorso di Pisa.
COLT. Oh, oh! Se tutti gli iniziati ad una prova divina se la cavassero alla svelta, Giobbe non sarebbe mai esistito. Già... Già!... Vi farebbe comodo un naso corretto e due graziose orecchie. Ma possedete voi nel portafoglio o presso le Banche, tanto da ripromettervi una simile riparazione di lusso ?
Io - (con vera convinzione) Non lo suppongo nemmeno!
COLT. - (con fede commerciale) Se una mal connessa dentiera, val bene un migliaio di lire, che cosa non si potrebbe valutare un bel naso classico ed una armonica coppia di orecchie, tutta una combination eccezionale sopra un magnifico astuccio foderato di pelle umana, tipo "Adone" o "Narciso" come avrete osservato sul catalogo?
Io - (ingolosito dalla visione, ma umiliato dalla povertà) Confesso chiaramente, che non ho pensato a tutto ciò, che è poi, lo comprendo il lato peculiare della faccenda. San venuto quassù spinto da una forza indomita (lo può dire Lesbina) da un misterioso spirito di conservazione, al quale non deve essere estraneo, come rivelaste anche voi, l'intervento della Divina Provvidenza; e da quel pungolo, da quella promessa vaga, che aleggiava attorno i nasi del vostro catalogo. Mi sono attaccato dunque disperatamente a questo filo di speranza! Se avessi aggravato il peso del mio corpo di un sacchetto di scudi, il filo si sarebbe spezzato certamente… Non pensavo che la riparazione fosse così costosa. Quando si nasce, la Natura, queste coselline quì (e indicai di conforme) ce le dà per niente! Eh, sì, che avete l'aria di un vero umanitario!? Mai in vita mia, m'ero sentito tanto in vena di perorare. E Coltelli, me lo dimostrò, ripagandomi con due lagrimette che andarono ad irrugginire il tagliacarte metallico del suo naso. Approfittai di quell'istante di commozione per chiedere una tregua, giacchè ebbi la coscienza, che il mio competitore e Donno, avesse qualche cosa di eccezionale da comunicarmi. Motivo per cui, chiudo saggiamente questo capitolo secondo.
LE INVENZIONI DEL CERUSICO COLTELLI - cap.3
Da l'articolo de la rivista "Il Garda" de setembre-otobre 1928
COLTELLI SI PALESA INVENTORE DI ECCEZIONE.
Una luce di cattiva lega, certo satura delle paurose visioni della contrada, da me così fedelmente descritta ed inventariata nel precedente capitolo, filtrava traverso la feritoia dello stanzone, con degli sprazzi indecisi. In sostanza, la disgraziata veniva a riparare da noi. Sotto questo chiarore, che aveva del crepuscolare nordico, la fìsonomia del mio armamentario chirurgico, da lucida. s'era fatta opaca, come se la bocca di una cinerea strega da tregenda, vi avesse alitato sopra. Dal canto mio, prudentemente discosto, dal piccolo ed irrequieto mondo delle scatole, m'ero accomodato su uno di quei sgabelli di legno, duro e verniciato di verde, sagomati a dormeuse, che servivano un tempo ad arredo di capitale importanza, per il teatro classico di un secolo addietro e tanto si trovavano a posto nella scena della prigione guanto in quella di un bosco o di una reggia. Su, nel granaio una contraddanza di topi ed un quartetto di gufi, completavano il teatrino nostro.- Sono un inventore - attaccò disperatamente Coltelli - fulminando con gli occhi accesi la punta delle proprie scarpe rotte, boccheggianti ed accarezzandosi una falla nei calzoni. Scopro sempre; ma a furia di scoprire, non saprò più come coprirmi e finirò la mia vita nel bagno (però non disse quale… ). Se fossi nato ai tempi di Cristoforo (i geni parlano sempre così dei colleghi, limitandosi al confidenziale nome di battesimo) l'America l'avrei scoperta io, con la differenza che, più furbo di lui non sarei più ritornato a Salamanca a ripetere il giochetto dell'uovo di Colombo, per poi essere sorbito, imprigionato e tradito, ma avrei organizzato fra i selvaggi da me sinteticamente civilizzarti, una spedizione antitetica fingendo di venire a scoprire l'Europa a passo di contraddanza. Sono sempre stato amante delle ritorsioni. Cado facilmente in estasi di scoperta. E le stigmate le vedete nelle ferite del mio guardaroba. Quasi tutte le notti, mentre mi logoro il cervello ed i panni, nell'indagare ed emulare le meraviglie della Scienza, sembra che tra la mezzanotte, che è anche l'ora delle scoperte ed il tocco sembra, ripeto, che una specie di fluido sovrumano, etereo, mi forzi a sobbalzare sul mio giaciglio. Dopo il tuono, che fa rimbombare sinistramente questa torre del Diavolo, segue il lampo dell'Idea.....
Io - Tutto il rovescio dei temporali!?
COLT.-Prego!... L'Idea a poco a poco si delinea, si afferma, si appunta, si condensa e quando essa ha raggiunto la perfezione, che potrei farne quell'uso, che più mi pare e piace, anche di cederla per una pipa di tabacco, mi precipito fuori dal bagno e corro nudo, su e giù per la torre urlando: Eureka... Eureka...!
Io - O superbo fac-simile di Archimede! Ma il bagno dov'è che non ne intravvedo traccia?
COLT. - (altero) Anche il bagno è una mia invenzione!
Io - Dicevate, adunque? Fissata l'idea...
COLT. - (continuando)... affermato il principio… dedotto l'assioma... conclusa la formula sacramentale, mi arrabbatto per tradurre in realtà pratica e lucrosa tutto quello, che invento, ma nessuno mi soccorre in aiuto... Ti fissano bene in faccia, come per dire "Vi riconoscerò in qualunque evenienza della vita". Ti strizzano d'occhio, per rassicurare "Eh, sappiamo, che siete un uomo grande". Trinciano lo spazio della camera, con cenni energici di consentimento; ti fanno lasciar lì le carte che appartano gelosamente nella cassaforte. Da lì una settimana, ti ripetono un po' in sordina quanto sopra, e dopo un gran colpo di mano confidenziale battuto sulla spalla, che più si presta ad un benevolo congedo, tu parti senza accorgerti, che rechi con te, attaccato sul dorso il solito proverbio:
"Nemo propheta in patria"!
Io - (commosso) Non mi riesce nuovo tutto ciò. I grandi inventori subirono di queste delusioni ed anche di peggio. Badate a Papin, che gli ruppero la sua meravigliosa pentola sulla testa per tema, che applicasse il vapore; badate a Galileo, che fu processato perchè dopo Giosuè voleva fermare il sole per sempre...
COLT. - Come siete istruito! Ne terrò conto nella riparazione.
E continuò:
- "Poi un bel giorno, i giornali strombazzano una invenzione. Gli esperimenti riescono; i brevetti sono disputati a colpi di milione. Ed è tutta roba del mio sacco, creata ed elaborata da me. Tutta roba rubata ! Gli è in codesta maniera, che per assoluta mancanza di incoraggiamento e di aiuto, ben poca materia prima mi fu dato raccogliere per la mia ultima straordinaria scoperta. E con questa materia prima, essenzialmente preziosa, solo pochi e grami modelli di tipo comune mi è stato dato di comporre ed animare…"
Io - Ah, le scatole !
CoLT. - Precisamente. Siete provvisto di un buon comprendonio. Capirete!? Mi occorreva della così detta materia grigia, essenzialmente vitale, la quale fosse una quintessenza cerebrale allo stato fluido e tale da trasfondere moto e senso negli oggetti o per meglio dire nei pezzi anatomici, che avevo in animo di plasmare… Il Supremo Creatore...
Io - Iddio!
COLT…. che dicono sia stato il più grande inventore che si conosca, ha preso del fango in uno stagno del paradiso terrestre, in territorio inglese dell'attuale isola di Ceylon, vi ha soffiato su ed ha creato l'uomo. Con non lieve sacrificio mi sono procurato mercè i buoni uffici di un coltivatore di frutti proibiti, un barile di quella biblica terra e messomi in perfetta grazia del Signore, dopo aver impastato un naso fidiaco vi ho soffiato sopra un giorno ed una notte, senza nemmanco riuscire a farlo sternutare! Alla mezzanotte del secondo giorno (l'ora delle scoperte) che i topi non mi lasciavano dormire, caduto nella indispensabile estasi, pensai di mettere a partito due degli estremi e più popolari portati della Scienza: I'ipnotismo e la fotografia… Avevo osservato, che durante il sonno ipnotico il soggetto perde completamente la forza della volontà. Ebbene, attirai nella torre il più arrabbiato dei miei creditori con la lusinga di soddisfarlo. Lo ipnotizzai, mostrandogli un biglietto di banca, falso e collocandolo davanti all' obbiettivo, gli fotografai sopra una pellicola da me preparata, con una formula chimica trascendentale, le facoltà mentali. Vidi con giubilo, una materia di un colore lattiginoso distendersi a strato a strato sulla pellicola, condensandosi in granellini attaccaticci come quelli del seme bachi pronto per la selezione microscopica. La pellicola si animava poco a poco come le fossero capitate delle idee per la testa; tanto si animava, che per non vederla, fuggir via, la fissai con uno spillino sul letto... Voi non lo crederete, ma ho sentito distintamente partire dalla pellicola la parola: Ahi! -
Io - È incredibile, ma logico!
COLT. - Il mio intento, il mio sogno erano raggiunti, realizzati. Con pochi milligrammi di quella materia granulata (che senza dubbio entrerà in concorrenza col diabolico radium, troppo costoso) mescolata con la creta del paradiso terrestre, potei fabbricare il primo naso ed il primo paio d'orecchi, meravigliosamente confezionati… In omaggio al principio della "metamorfosi" che è la virtù di trasformare la Realtà in fantasia e viceversa, imposi al primo campione il nome di "Ovidio Nasone". Al paio d'orecchi, appesi, due medagliette, due orecchini di similoro con due nomi fatidici:
"Mida e Dionisio". Che ve ne pare?
Io - Sono due orecchi, che appartengono al mito ed alla storia. Ma, e quel 'Vostro creditore?
COLT. - Liquidato in tutti i sensi! Quando svegliai il paziente, mi accorsi con non piccola sorpresa e dolore, che era diventato cretino… Lo assunsi al mio servizio e divisi con lui il pane non sempre cotidiano. Siccome aveva bisogno di un nome perchè il suo non lo ricordava più, lo chiamai in inglese "Victim of the science" (Vittima della Scienza). Il poveretto è morto di anemia acuta due mesi or sono. Ma la sua anima è quì fotografata nella torre.
Io - Sfido io! "Nessun uomo al mondo è stato più fotografato di lui". Ecco il suo elogio funebre!
COLT. -(distillando una grossa lagrima, che scendendo giù per il dorsale aguzzo del naso, si divise in due come avesse trovato uno spartiacque) Comprenderete, adunque, di leggieri, che non potevo così facilmente procurarmi dell' altra materia prima se non con grave discapito del mio prossimo. Allora mi rivolsi alla incosciente e meno pericolosa longanimità delle bestie, che al pari dei benefattori di tutte le Croci multicolori d'assistenza pubblica, si sacrificano al trionfo della scienza applicata agli errori dell'Umanità. I miei colleghi di patologia sperimentale fanno strage di conigli. Fotografando a modo mio, il cervello di un numero notevole di codeste bestiole domestiche, potevo è vero ottenere una "vis acustica" un udito finissimo; ma un ostacolo insormontabile si frappose fra me e il paziente. Essi (i conigli) non sono vili, perchè quando difendono la loro prole, mostrano, magari due denti soli, ma li mostrano; però sono paurosi. c'era pericolo, che al momento di attaccare le mie orecchie così confezionate alla regione temporale del cliente, un rumore violento qualsiasi, me le facesse fuggir via, tratte da invincibile panico.
Io - Però, dopo fotografate, potevate saziarvi con la carne delle vostre vittime che dicono eccellenti in fricassea, alla francese?
COLT. - Un errore grave! Con l'abuso di questo cibo avrei finito col perdere ogni ardimento nel mio campo di indagine... Invece coi cani randagi...
Io - Oh! oh ! messer Coltelli dove andiamo a finire, ora?
COLT. - II cane randagio, nella via delle Riparazioni, ci viene e ci si accomoda, come uno che prenda in affitto un villino. Esso col suo olfatto finissimo ed astuto di cane reietto o bohemienne, sa che qui non bazzicano gli accalappia cani (che praticano i quartieri di lusso in traccia di Fifì e Lulù inglesi senza museruola) nè altri nemici. Si crogiola nella sua misera di refrattario e pensa magari al tempo che fu. Pensa alle caccie ed al quieto vivere nelle pingui fattorie di campagna, quando abbaiava alla luna ed i ladri erano tutti galantuomini! Però il cane randagio, a meno che non sia un cane prodigo, che abbia abbandonato di sua volontà il casotto patronale è quasi sempre bastardo. Ma il coraggio e la fedeltà non difettano manco a lui. Si attacca ad un uomo, con quella filosofia patetica, che si attaccherebbe ad un osso!
Io - E come vi provvedevate di codesti bei campioni della società canina? Non certo con la pubblicità sui giornali!
COLT. Pescando… Possedevo una gattina soriana, che mettevo di sentinella alla porta spalancata della torre, con una lunga cordicella attaccata alla coda. Appena un cagnolino randagio era in vista, la gatta rabbuffava il pelo, dava la luce gialla ai fanali degli occhi e mostrava i denti aguzzi. Io tiravo la cordicella, il gatto obbediva, fuggendo su per le scale ed il cane dietro. La porta della torre si rinchiudeva con un sordo boato, sulla sorte del prigione... Questa gatta, si chiamava: Circe! Dopo aver reso completamente immobile il soggetto, con un digiuno di ventiquattro ore (bastano per un cane randagio) lo sottoponevo alla solita operazione della "fotocerebro-cleptia" la scienza di rubare il cervello. E questa finiva con sopprimerlo. La bestia mi guardava in cagnesco e moriva.
Io - Tutto ciò è caninamente logico. Ma, a parte l'istinto di attaccamento affettivo, che può avere un cane per l'uomo, come fate a dare una coesione vitale di continuità al vostro preparato anatomico? Non certo incollandoglielo in testa come un cerotto?
COLT. - Già, già! Ma il Divino caso è l'angelo custode degli inventori, dei geni: Newton e la mela, Galvani e la rana, Voltaire e la sua serva! Il mio è stato un lampo eccezionale, una fortuna grande, tanto che per la sua incommensurabile bontà si è fatta acciuffare per i capegli… - Le pinzette le ha - pensai, guardandogli le mani adunche come rostri...
COLT. - È un episodio così spaventoso, che alla mia volta domando cinque minuti di riposo, per impomatarmi la chioma, affinchè non mi si rizzino i capegli. E ci avviammo d'accordo, verso il seguente capitolo.
LE INVENZIONI DEL CERUSICO COLTELLI - cap.4
Da l'articolo de la rivista "Il Garda" de setembre-otobre-noémbre 1928
L'EPISODIO DEL QUARTIERE DEGLI ZINGARI, CON LA CATTURA DELL'UOMO COLLA
COLT. - (fermandosi sulla soglia del presente capitolo) Le avventure degli uomini pari miei,
sono sempre degne d'essere segnalate da uno storico di passaggio sulla madre terra e sullo stampo vostro, mettiamo, ma questa è la più straordinaria di tutte! E per non guastarvi troppo il sangue cercherò di attenuare le tinte all'episodio spaventoso che sto per narrarvi. "Era la mattina del giorno della Pasqua ultima trascorsa. C'era nell'aria un motivo profumato e trillante di pace universale, che metteva voglia di procedere per la via con un ramoscello di olivo in bocca ed una cosciola arrostita di capretto in tasca, all'odore di rosmarino. Il Quartiere degli zingari, mio ordinario campo di riserva di caccia agli scarafaggi volanti, malgrado quell' aura primaverile, che ingentiliva prodigiosamente la vita della santa giornata, non presentava alcunchè di nuovo in fatto d'ordine, di pulizia e del così detto amor del prossimo. In confronto suo questa via delle Riparazioni sarebbe una specie di anticamera. Vi basti sapere, che anni or sono, durante una memorabile caldura d'estate, gli insetti che avevano piantato le tende nel quartiere, s'erano talmente moltiplicati ed arrobustiti, che pervasi da uno spirito strapotente di autonomia, ad un dato segnale, come ai tempi delle grandi migrazioni o calate barbariche, il quartiere si scosse dalle fondamenta, quasi strappato dal suo alveo ed ogni casa cominciò ad andarsene per proprio conto, dando origine ad un nuovo piano regolatore. Gli scienziati, accorsi ad esaminare quel fenomeno semovente, sentenziarono, che essendo il rione abitato dalla tribù degli zingari, le abitazioni s'erano talmente imbevute e compenetrate dello spirito di vagabondaggio dei propri inquilini, che ne furono soggiogate e spinte a darsela a gambe. Ma nessuno pensò agli insetti!
Io - Grandi uomini, errori grandi!
COLT. - Dunque, io stavo cercando una certa specie di scarafaggi ammaestrati, per rendere automatico un giocattolo di mia invenzione, ma quella mattina i miei motori s'erano intanati. Mi rassegnai a rincasare a mani vuote, quando vidi sbucare da una viuzza lurida quanto mai, un signore assai bene vestito ed ancor più elegante appariva il suo abbigliamento, fra tanto orrore di cenci e di miseria… Portava il cappello a cilindro; la biancheria era candida e ricamata sotto un perfetto taglio di abito nero a coda di rondine. Sembrava appunto una di quelle rondinelle che si vedono negli auguri pasquali sui fili del telegrafo. Ma quel signore procedeva cauto e sospettoso come un malvivente inseguito. Le sue pupille roteavano nell'orbita in tutti i sensi, ora bieche, ora guardinghe e supplichevoli, inquisitrici sempre...
Io - Che andasse a caccia di scarafaggi anche lui?
COLT. - Avevo fiutato anch'io una specie di concorrente; ma quel vestito? Mi rassicurai subito e quando il signore mi scorse, ne apparve soddisfatto. Si capisce che la ricorrenza Pasquale avea donato al mio viso piuttosto arcigno una patina di bontà. Mi avvicinai a lui disposto a porgergli la mano. Aveva il viso glabro, color della cera vergine, striato da traccie profonde di sofferenza, color violetto scuro. E quale spaventosa magrezza! In suo confronto io apparivo un fattore di campagna. Il naso aquilino, indizio di una grande condiscendenza virava all'ingiù verso il mento, in modo che la linea della bocca era perpendicolarmente tagliata in due, così che le parole dovevano necessariamente uscire mezze per parte, specie quelle composte di molte sillabe come: arcivescovile, energumeno etc. E i capegli ? Sempre per quell'ansia di terrore e di incubo permanenti, si mantenevano così diritti ed irsuti, che avevano finito col bucare il tetto del cappello a cilindro, che appariva invaso da ciuffi di pelo grigio, come le male erbe. Lo sciagurato fantasma a coda di rondine, mi afferrò bruscamente per un braccio: - Signore, sibilò, Egli mi segue da due anni! -Chi, Egli? domandai. La risposta non si fece aspettare; ed era una risposta che arrivava di trotto. Il nuovo venuto, di aspetto roseo, sorridente, grassetto, sbucò da quella medesima viuzza e se ne venne alla nostra volta, saltellando come una quaglia in cerca di riso.
- Eccolo ! rantolò l'uomo dalle ciocche spaurite sulla calotta del cappello a cilindro... Eccolo ! - Sempre lui.... - Mio Dio misericordioso, sempre lui ! - Eccolo, che mi ripiglia...! Salva temi!
Io - È subito spiegata! Evidentemente si trattava di un evaso dal Manicomio e del suo infermiere, che ne correva sulle traccie!?
COLT. - Per niente! Obbedendo ad un senso di pietà e prendendomi sotto braccio, la "coda di rondine", com'ella stesse per venir meno, trattenni con un gesto imperioso da "police-men" perfetto, il nuovo sopravvenuto, che si arrestò titubante a pochi passi di distanza, ma pronto al balzo, come fa il gatto col sorcio. Ed il mio protetto d'avventura, continuò sordamente: "Eccolo! Sempre lui! Due anni, che mi segue e mi perseguita, che mi deruba e dimagra, suggendomi il sangue finirà con l'assimilarmi! Ero un uomo assai facoltoso e vedovo, per giunta. Mi fu presentato una sera tardi in casa di un iettatore. Gli confidai la mia vedovanza ed ecco, che all'alba successiva me lo sento scampanellare in casa, annunciandomi, che finalmente aveva trovato un amico… ! - Beato voi, risposi facendolo entrare nell'anticamera… - Ma sei tu... Sei tu l'amico, gridò l'altro, buttandomi le braccia al collo. Un tesoro di amico ho trovato... !
E siccome in quel punto era apparsa la mia cameriera, abbracciò anche lei dicendole: Sarete la mia sorella! La nostra ninfa Egeria! Da quel momento fatalmente storico, non mi abbandonò più... più... più ! Alla trattoria ordino da pranzo ed i bocconi migliori se li pappa lui. Di due sigari, uno se lo fuma lui ed è quello che tira di più. Pago io ! A teatro, occupa la poltrona accanto ed il binoccolo lo ha sempre in mano lui. Se mi fanno un complimento si pavoneggia lui; se fisso un appuntamento amoroso, mi precede come un valletto. Se ho la malinconia di fidanzarmi, lui mi conquista la madre e manda a monte tutto; se uno mi porge la destra egli afferra la sinistra del malcapitato, che sembra in istato d'arresto Ed pra, eccolo lì, di nuovo, che mi ripiglia. Sono il suo schiavo, la sua vittima, la sua preda, il suo salvadanaio! Salvatemi, Signore, e metà del mio patrimonio è vostro, quantunque non ci sia ancora molto da ròdere… - Ma questo è il famoso "Uomo colla" mormorai all' orecchio del disperato; l'amico degli Epuloni, dei Mecenati, dei ricchi ereditieri deboli e inesperti, quello che si dichiara con vantato sussiego in società: "Tizio, è l'anima della mia anima". "Con Caio, siamo due corpi ed un'anima sola! "Sempronio, non fa nulla senza di me"! Quanto siete infelice! E quale istinto nel vostro persecutore! Se egli vi ha scovato fin quì, in questi sconci paraggi, gli è che per l'appunto questo è il regno, l'Eden dei parassiti! Il colloquio segreto era durato fin troppo, per non poter più oltre tenere in iscacco quello che io avevo classificato per l'"Uomo colla". L'avversario, quasi strisciando e annaspando furtivamente con le mani si avvicinò ratto e deciso alla sua vittima e togliendomela di sotto il braccio, con amorevole violenza, se la strinse al petto, singhiozzando: - Mio buon amico, mio ottimo consigliere, mio inseparabile compagno, credevo di avervi perduto per sempre, ma alfine vi ritrovo. Non vi domando il perché vi siate cacciato fin qua, ma la vostra inesperienza della vita, me lo fa sospettare. Questo signore, che VI accompagna, certo deve avervi attirato in agguato… - Signore ! protestai... -... ma l'istinto fraterno mi ha guidato fin quì, sapendo che sarei giunto in tempo per salvarvi l'esistenza ...
-Signore! Tornai a ripetere con tono più altero… - fu per cambiare quel grosso biglietto di Banca dal tabaccaio, che vi ho smarrito; e l'ho speso tutto in inserzioni e ricerche per rintracciarvi; ma non vi perderò più d'occhio, ve lo giuro sulla nostra amistà, non VI lascierò mai più... mai più... mai più!
- Non ci separeremo più mai... più mai... più mai... - consenti automaticamente il perseguitato, ripetendo lugubre all'intorno il famoso ritornello del "Corvo" di Poe... Mai più... più mai! Vi voglio troppo bene, vi amo troppo, mi siete indispensabile…
lo - E voi, così atrocemente sospettato ed offeso, come vi siete contenuto fra quei due matti, non da legare, perchè mi pare fossero legati abbastanza tra di loro?
COLT. - Non ne ebbi il tempo... Una raffica improvvisa di vento, abbattutasi, con spaventevole violenza sul quartiere degli zingari, lo colse come nel sonno, addormentato quale era dalle cornamuse pasquali e lo sconquassò, come all'epoca della ribellione degli insetti. Era l'uragano annunciato qualche giorno prima dal bollettino. Una specie di vortice, che aveva della tromba ciclonica, dopo aver annientato un esercito di tegole, spazzato i davanzali di tutti i miseri vasetti di fiori, abbattuto i lampioni, rapite tutte le insegne, ne fece una di buone, quella di togliere tutte le imposte agli abitanti del quartiere, senza l'avvento di una amnistia qualsiasi. Uno di questi arnesi pericolosi, appartenente al terzo piano di un palazzo seicentesco fuori uso, dopo di aver torneato a lungo per l'aria, come avesse avuto il guardinfante, con sibili da minuetto infernale e con ampie volute di uccellaccio di rapina, che ha già avvistato la preda, precipitò sulla testa dell' "Uomo Colla", il quale piombò pesantemente al suolo con il cranio spaccato.
lo - Il fatto di avere abbandonato, anche per poche ore la sua vittima gli portò disgrazia e Dio volle richiamare a sè quell'anima, che usurpa va indebitamente una funzione a lui non affidata dalla legge divina e cioè quella di angelo custode, il quale naturalmente e chissà da quanto tempo, se ne sarà querelato presso il Tribunale Supremo...
CoLT. - Quanto siete ingenuo! Gli angeli custodi non se la pigliano tanto calda, quando si trovano in impaccio per affari così arrischiati. La conoscete quella canzone di Berangèr? È un dialogo fra un morente all'ospedale ed il suo angelo custode.
Dice il primo:
Tutto contato non ti devo niente
mio buon Angelo, addio, grazie ugualmente"
Io nato sulla paglia in un cantone,
son figlio del Signore? È un po' burlesca!
Sì, l'Angiol disse e fu mia degnazione,
se la tua paglia l'hai trovata fresca!
- L'Angelo Custode, proseguì Coltelli - come ripeto, a tempo debito se ne può anche lavare le mani. E fu così, che il mio protetto restò prigione per tanto tempo del famigerato "Uomo colla", altrimenti si pappava anche quello… Ma sentirete, sentirete cosa avvenne dell'anima di costui, che voi avevate già supposta in cielo...
Io - Sono tutto orecchi... Cioè no... Scusate! Ma quel colpo di uragano, ci aveva già di non
poco sbattuti verso i confini del susseguente capitolo dove si apprendono cose non meno strabilianti di questa.
LE INVENZIONI DEL CERUSICO COLTELLI - cap.5
Da l'articolo de la rivista "Il Garda" de noémbre e decémbre 1928
ELOGIO DELLA CALAMITA E DELLA SANGUISUGA
Coltelli continuò, imperterrito:
"Quantunque l'ucciso dall'imposta assassina, mi avesse ispirato una antipatia feroce, pure un briciolo di sentimento umanitario, che dormiva in me, dopo la strage dei poveri cani, mi spinse ad accorrere in vano soccorso verso il caduto. L'uomo dal cilindro fiorito e dalla coda di rondine, intanto, stava dileguandosi furtivamente e voltandosi mi urlava:
- Lasciatelo stare, non toccatelo; Lasciatelo morire quel cane! Se torna in piedi mi segue anche dopo morto… Invece, si capiva che l' "Uomo colla" era proprio spacciato. Mi chinai sul caduto, con tanta pietà dipinta sul volto, che mi si poteva gabellare per un affresco murale, rappresentante la figura del buon Samaritano. Attraverso una larga fenditura della parete
frontale, appariva una massa cerebrale bianchissima, come di latte coagulato e senza striature sanguigne. Ma cosa straordinaria, essa palpitava ancora. Era viva quella pasta ! Ed io che so leggere nel cervello degli uomini vi trovai segnato a geroglifici trascendentali, quasi stenografici tutto un elenco succulento di bocconi squisiti da far venir la gotta soltanto a desiderarli. Eccoli divisi per serie e pronti ad essere scelti da una lista di un ristorante parigino:
"Mattina": Caffè latte o the - burro - crostini - marmellata - miele - prosciutto - uova sode.
"Mezzodì": Cocktail - Risotto con tartufi - Zuppa di tartaruga - Pollo alla Richelieu - Arrosto di cinghiale del Canadà - Asparagi alla parmigiana - Fragole all'ananasso - Vini del Reno. E sotto una noticina:
È goloso. Si vergogna di conferire col cameriere. Comando io. Paga lui!
lo - Mi viene l'acquolina in bocca ! Aveva buon naso... Oh scusate... Aveva buon gusto quel brigante!
CoLT. - Io sudavo freddo leggendo quel paradiso del palato e nello stesso tempo mi salivano al viso le fiamme dell'anarchia... Ma proseguii nella lettura sibaritica:
"Pomeriggio": The dalla contessa X. Ha un debole per la contessa, ma non sa parlare. Gliela mantengo cortese e lusinghiera a forza di orchidee. Caruccia la contessa ma caruccie anche le orchidee! Se ne è lagnato, perchè i fiori non si mangiano.
"Prima di pranzo": Bagno alle Terme di Caracalla. Camerini attigui. Teme fare la fine di Petronio Arbitro, nel tagliarsi i calli. Sarebbe una rovina per me...
"Pranzo": Ostriche - Spaghetti con le vongole - Carpione alla tartara - Fagiano ripieno - Insalata russa - Banane al forno col Rhum - Pudding allo zabaglione - Champagne della V edova. È goloso, paga lui ! lo lascio fare e per non contrariarlo mi trincero dietro l'edizione del "Refugium peccatorum".
Io - (lusingato) Molto gentile l'amico. Del resto, psicologicamente parlando, l'"Uomo colla" non seguiva, che un sistema logico e diplomatico. Approfittando degli istinti raffinati per le primizie più squisite e d'altra parte sapendo, che non avrebbe avuto il coraggio di chiederle, si rassegnava a pagare il maestro. Se si fosse ostinato a condurlo per le bettole a far scorpacciate di trippa o fagioli, l'altro defeziona va di botto.
COLT. - Ma c'è di più. Era ancor più fine nella sua inesorabile suggestione. Per tenerselo sempre più avvinto, la sera al teatro, non sceglieva che commedie atte ad educare il cuore all'amicizia più perfetta. Ed ecco i drammi più suggestivi sul genere dei "Due
Sergenti al passo di Calais", "Oreste e Pilade", "Damone e Pizia" etc. etc. - Lui... Lui ... sempre lui, mormoravo sordamente, decifrando quel documento vivente di piovra umana... !
lo - Sono cose queste , tanto straordinarie, che per ben comprenderle bisògna toccarle con mano.
CoLT. - Infatti, io, sbadatamente introdussi, come si suoi dire, un dito nella piaga, traverso la fronte spaccata e non potei trattenere un urlo di spasimo… Lo tirai lestamente indietro, facendo leva con tutta la persona, ma l'unghia del mio povero indice, se ne era bella che ita e conficcata nel cervello dell' "Uomo colla". Guardate quì! Io - Quell'uomo si attaccava alla vita anche defunto…
COLT. - Perfettamente! L'anima, lo spirito suo, in luogo di uscire dalla falla apertagli da quell'arnese scagliato dalla furia incognita del tifone, erano stati fermati, come una merce di contrabbando, (il contrabbando dello spirito) e trattenuti in ostaggio da quella ultrapotente calamita. Di induzione in induzione, conclusi che la Divina Provvidenza, intenerita dai miei conati in favore dell'Umanità mutilata, mi dava in mano quella gomma misteriosa, quella colla umana di una potenza incalcolabile, che manipolata per bene, poteva far aderire ad una testa sguarnita come fa vostra, un naso e due orecchie di mia fabbricazione, donando e mantenendo loro la perfezione, il senso dell'udito e dell'olfatto, come ad una onesta e brava persona come voi, si conviene.
Io - Ve ne son grato anticipatamente.
COLT. - Intanto il vento, durante questa mia scoperta e conseguenti considerazioni e commenti, soffiava più tragicamente che mai. Forse meditava qualche altro assassinio? Ma questa sua rabbia non riusciva, che a facilitarmi il piano che mi era balenato nella mente, poichè da più di un'ora nessuno più osava avventurarsi per quei paraggi sconquassati da quel ciclone localizzato al "Quartiere degli Zingari".
Io - Dunque l'uragano, a quanto pare, l'avevate creato voi per la circostanza ?
COLT. - Può darsi! Alle volte la Natura se la intende volentieri col Genio, anche nella tragedia, aprofitto dell'Umanità. Una densa colonna di vapor acqueo saturo di polvere di carbone, un nebbione d'inferno calò d'improvviso sulla scena ed io perpetrai il furto... !
lo - Di qual furto intendete parlare? Non già sul portafoglio dell' ucciso, dal momento che costui viveva alle spalle dell'altro?
CoLT. - (rabbrividendo) Tagliai rapidamente la testa all' "Uomo colla" con 'una sega sottilissima, che sguainai dal mio bastone animato e la nascosi sotto il tabarro avviandomi verso la città di Betullia, assediata dai Babilonesi...
Io - (stupito) E perchè non a casa vostra, in questa torre?
COLT. - Perchè in quell'istante mi sentivo compreso dal sublime gesto di Giuditta, che tagliò la testa ad Oloferne…
Io - Può darsi ! Caso di suggestione! Ma una volta arrivato a casa vostra, cioè no, nella città di Betulia, come avete fatto a maneggiare una materia tanto pericolosa e perfida da trattare, che solamente a toccarla vi scappavano le unghie ?
COLT. - Oh, fu una cosa da nulla e adesso ve la sviscero con un sillogismo di primo grado: Se l' "uomo colla"da vivo, si sentiva atttratto verso colui, che nuotava nella dovizia e lo monopolizzava in tutti i modi, doveva necessariamente tenersi alla larga da un opposto soggetto sfigurato dalla fame e che alla sua volta, nuotasse sì, ma nella più squallida miseria... ! Ergo indossai i più ignobili cenci; trascurai la barba e i capegli fino ad essere confuso con il leggendario "Ebreo errante", mi lasciai crescere smisuratamente le unghie. Schivai l'acqua per lavarmi, come un cane idrofobo, vissi a pan nero e muffito, con frequenti digiuni da dar dei punti a un anacoreta. Non mancai di leggere libri conforme al mio stato di vita come i Miserabili di Hugo, i Pezzenti di Cavalletti, i Refrattari di Vallés ed altra letteratura del genere. E quando mi sentii ridotto in condizioni tanto deplorevoli, che nessun rimedio di quarta pagina avrebbe potuto ricostruirmi l'organismo disfatto, mi accinsi con animo disperato e cantarellando un De Profundis, a manipolare il cervello dell' "uomo colla" ed il risultato fu sorprendente - avevo ammansato la belva - trasformando una materia ribelle e velenosa in un docile e miracoloso farmaco, per la ricostruzione della forma e della bellezza. - Dopo di che, continua Coltelli, ridotta a perfetta conservazione la preziosissima poltiglia, riparata in un barattolo di stagno, mi dedicai ad una prima creazione di nasi ed orecchi, di modelli svariati, onde preparare una specie di catalogo. Così, compreso ed assorto della sacra missione, mi soffermavo a rimirare con insistenza cocciuta i più bei nasi degni di attenzione. Seguivo, pedinavo, sorpassavo, circuivo l'oggetto del mio studio, come fa un vagheggino con la bella perseguita; entravo come in uno stato incosciente e non vi so dire quanti schiaffi e pedate mi abbiano destato da questo sonno. Sono tutti segnati per data, nelle pagine del mio martirologio. Se alzavo gli occhi verso una testa da portone, per capire come erano fatti i nasi del barocco, mi prendevano per un maleintenzionato, che esaminasse il piano della casa per visitarla meglio di notte e gridavano "Dalli al ladro!" Se prolungavo un po' la sosta sotto il monumento di un grande uomo, per scrutarne le caratteristiche più singolari e peripapetiche, eccomi assediato da un nuvolo di guide più o meno autorizzate che mi stordivano con le loro offerte di notizie storiche più o meno autorizzate anche quelle. Fu così, che i nasi di Washington, Franklin ed altri personaggi fanno bella mostra nel mio catalogo. Ma non osavo ancora lanciare in piazza la mia scoperta e tanto meno il campionario dei conseguenti meravigliosi prodotti! Il popolo ignorante mi avrebbe preso per un mago e linciato in un batter d'occhio. D'altra parte, anche avessi tentato la via della quarta pagina dei giornali, dove procurarmi il denaro per una serie di costose ed appariscenti inserzioni ? Allora pensai a voi e ad una possibile intervista, che avesse dello straordinario, a voi del "Refugium peccatorum" dove leggevo spesso con simpatia ed ammirazione gli articoli di fantasia e quella tal cronaca in versi che manda in solluchero le servotte intellettuali e romantiche. Credo perciò, sia alfine venuto il momento di soddisfare
la vostra legittima curiosità , che tanto vi toca da vicino! Al giornalista, non par vero di erigersi ad eroe di un'avventura strabiliante, che lo collochi di botto su di un piedestallo di vertigine, intento a fermare la lancetta dell'orologio sul suo quarto d'ora di celebrità! Tagliamo il naso ad un reporter; studiamo il modo di farlo accorrere spontaneamente alla mia torre di soccorso. Gli racconto la dolente isteria, gli ricostruisco il mancante, meglio di prima, lo persuado a raccontare con fervida penna la sua meravigliosa avventura e siamo pari patta...
Io - Va bene, tutto. Ma ora, che mi avete illuminato sulla faccenda e siamo perfettamente d'accordo, permettete adunque di continuare a mio modo la già iniziata intervista. E vi chiedo:
- Come è avvenuta la crudele operazione senza che me ne accorgessi, o provassi dolore; senza, che una lagrima del mio sangue prezioso, macchiasse le lenzuola, senza che un colpo della mia rivoltella infallibile, freddasse l'importuno, che violava la mia dimora?!...
COLT. - Un processo facilissimo. Mi armai di un coltello, la cui lama di finissimo acciaio di Toledo era di una così inesauribile bontà, che non vi avrebbe fatto sentire il più piccolo dolore. Arroventai la lama sul fuoco, immergendola in una quintessenza d1 spiriti vitali di sanguisuga, che ha molta affinità con la pasta calamitata dell' "uomo colla". Incidendo alcunchè di carnoso, la lama, velata di quel leggiero strato di detta essenza, beveva tutto il sangue, che spicciava dalla ferita, si che la lama stessa gonfiava a vista d'occhio, diventando a sua volta una grande altra sanguisuga. Le ferite si rimarginavano immediatamente.
Io - E come siete riuscito ad entrare nella mia camera da letto?
COLT. - Uno studio accurato delle vostre male abitudini, me ne ha dato la chiave. Dal calzolaio, che vi sta di rimpetto, calcolando che al Lunedì è più espansivo del solito, appresi che la domenica notte rincasate un po' alticcio. Lesbina, mi confidò, che in tali condizioni dimenticate facilmente la porta socchiusa per lasciar svanire in buon ordine la sbornia. Ne avevo abbastanza per tentare il colpo. Mi appostai dietro il portone di casa vostra ed attesi trepidante. Quando infilaste la chiave nella toppa, sembrava che prendeste la prima lezione di scherma, senza mai colpire nel segno. Procedevate come le saette ed avevate certamente un temporale per la testa ed un ciclone nello stomaco. Io - Sfido; tornavo da un banchetto elettorale!
COLT. - Parlavate tra voi. Dicevate delle cose tanto buffe e sconclusionate, che per poco non mi venne in mente di tagliarvi anche la lingua, se avessi creato anche questa voce nel catalogo. Avete impiegato un'ora a svestirvi e nell'aprire un armadio credendolo una finestra, nel toccare la vostra pelliccia, avete gridato: "all'orso, all'orso!". Alle cinque del mattino, vi avevo già tagliato il naso... Cessaste subito dal russare. La qual cosa mi rese più tranquillo nel procedere alla resezione delle orecchie… Vi lasciai, che l'alba traluceva dietro le fessure della finestra. Corsi a casa, dissanguai il coltello e conservai il bottino, l'ostaggio, diremo così, nello spirito.
Io - Grazie ! E quando me le rimetterete a posto?
COLT. - Prestissimo ! Diamine ! Ma prima dovete dare un'occhiata alla mia esposizione. E il cerusico Coltelli, andò a collocarsi, ritto in piedi, dietro una specie di banco, con la perfetta aria di un commesso di negozio, e cominciò a tirar giù le scatole dei nasi, i quali appena esposti all' aria cominciarono ad annusare l'odor di muffìto e sternutire evidentemente preoccupati!
- Fa un po' freddo qui e sarà meglio rimandare la visita a una stagione più propizia. Non vorrete mica che io vi lasci partire con un naso costipato!?
Io. - Oh, in quanto a questo non preoccupatevi. Sono ben provvisto di fazzoletti. Ma per amor di Dio spicciatevi. Sento gli stimoli dell'appetito che fanno a pugni nello stomaco, con quelli del dovere.
COLT. - Restate servito, prego, nel susseguente capitolo!
LE INVENZIONI DEL CERUSICO COLTELLI - cap.6
Da l'articolo de la rivista "Il Garda" del decémbre 1928
NASI FEDELI E ORECCHIE IN RIVOLTA DAL SOGNO ALLA REALTÀ E VICEVERSA
Coltelli premette un bottone ed una porticina si dischiuse silenziosa. Nell'interno dello stanzino buio come una camera oscura, erano allineate una dozzina di scatole, sopra ognuna delle quali si leggeva in stampatello: Parlate piano! Una lampadina rossa a petrolio, ardeva su tutte quelle raccomandazioni.
COLT. - Le custodisco quì dentro, poichè lo schiamazzo della strada può loro nuocere...
Io. - Fate benissimo. La prima qualità di un bravo uomo è quello di tenere gli occhi aperti e le orecchie "chiuse". Entrai nello stanzino, un po' titubante; ma ben presto uno dei rostri del!' inventore mi afferrava per un braccio strappandomi indietro con violenza. Le dodici paia di orecchie, cominciarono ad agitarsi nelle loro celle e a tumultuare. Pareva un dormitorio di educande, dove fosse entrato un "Fra Diavolo" o un "Capitan Fracassa", un minuscolo serraglio prossimo all'ora del pasto...
COLT. - (gridando). Allontanatevi, sciagurato, altrimenti manderete tutto a soqquadro. Esse non vi possono vedere nè tampoco sentire. Questione di simpatia; adesso vado a informarmi...
Io. - Sarei curioso di sapere il perchè di codesto ostracismo.
COLT. - Statevene tranquillo! Mi ci vorrà del buono e del bello per ridur le alla calma… Il domatore d'orecchie, cavò fuori un violino dal suo astuccio e si introdusse nello stanzino, mentre io restavo attonito nel mezzo del camerone. Approfittando della sua assenza, cominciai ad aprire rapidamente le scatole dei nasi provandomeli ad uno ad uno. Nessuno d'essi si ribellò, ma non trovai quello che mi andava bene.. E poi, siccome essi erano animati da istinti canini, mi sentivo una maledetta spinta ad abbaiare! Intanto dallo stanzino misterioso usciva una musica d'incanto, delicata come un minuetto. Fallita la prova dei nasi, e pensando alla possibilità di aver a che fare con un pazzo, decisi di rintracciare il vaso dello spirito dove poteva averlo
nascosto il cerusico, contenente il mio naso e le orecchie, che dovevano certamente aver mantenuto la loro freschezza primitiva. Poi avrei atterrato il mio carnefice, piantandogli in gola quel tal arnese "sanguisuga", quindi entrava in funzione la pignatta dell'"Uomo colla" e via, con la vittoria in pugno. Di là, nello stanzino, la musica lieve, lieve, nostalgica e snervante come una romanza in voga, continuava dolcissima. Come avrà imparato Coltelli a suonar così bene? Certo doveva essere una qualche altra diavoleria, poichè riusciva ad ammansare anche me, dissipando i belligeri propositi. Guardai per il buco della serratura con tanto interesse, da dar dei punti a Lesbina Ritto nel mezzo del camerino, sempre illuminato dalla lampada rossa, Coltelli con arcate decise e vibranti continuava la sua opera di pacificazione. Dalle scatole socchiuse, le spettatrici ascoltavano estatiche quei concerti, porgendo più che potevano all' infuori i loro padiglioni rosati, mentre un leggiero tremolìo delle membrane superiori tradiva una palese emozione. D'un tratto la lampadina rossa si spense, la musica cessò. Coltelli uscì pallidissimo, sfinito dallo sforzo fatto per calmare la piccola rivolta. Nondimeno, ligio alla sua già iniziata missione di commesso dietro il banco, reggeva con gran cura tre di quelle famose scatole ribelli...
COLT. - Signore; spiegherò il motivo del loro improvviso disappunto a vostro riguardo. Esse avevano intuito in voi un benevolo critico della musica tedesca. Per questa unica ragione la maggior parte di loro voleva dimostrare chiaramente di non attaccarsi a voi, sia pure attraverso il fatidico unguento custodito nella pignatta di stagno.
Io. - Avevano perfettamente ragione quelle pettegole! Cambiando tipo di orecchie, correvo anche pericolo di mutar d'opinione. E ciò non è conforme al mio programma...
COLT. - Benedetta la vostra faccia, anche se non è intatta. La modificazione di programma è riservata soltanto all'Impresa dello spettacolo…
Io. - Non capisco che cosa intendiate di dire con questa frase, ma vi prego di sbrigarvi. Ho fame, e il dovere mi chiama d'urgenza alle mie consuete occupazioni: Il piano omicida di prima tornava ad ossessionarmi.
CoLT. - (aprendo una scatola e levandone il contenuto) Tre campioni soli, hanno acconsentito a mostrarsi. Questa è l'orecchia della Carità!
Io - (ironico) Buona per fiere di beneficenza o comitati di soccorso....
COLT. - Tacete. La fareste indignare. Non è fatta per quelle esibizioni. Nessuna domanda, nessuna preghiera essa rifiuta. È un modello di arrendevolezza. Dice di sì a tutti. Ed ecco, perchè acconsentì di venire a voi.
Io. - Non vorrete mica isposarla con la mia testa. Io sono troppo povero per prendermi di simili fastidi.
COLT. - (aprendo un'altra scatola) Questa è l'orecchia della curiosità! Ne avevo promesso un paio anche a Lesbina, per avermela schiava piedi e mani, ma mi rispose, che ne aveva abbastanza delle sue. Il modello è accessibile a qualsiasi pettegolezzo, o scandalo, o segreto di qualunque interesse o portata. Per voi che siete giornalista...
Io. - Non mi serve. Tenetelo per le domestiche a servizio o per qualche diplomatico in principio di carriera.
CoLT. - L'ultima, che vi presento, più che un orecchio è un indovinello. Ascolta ma non ode. Le chiedete alcun chè e non sente. Eppure è sorda soltanto quando non desidera rispondere!
lo. - Ho capito ! Questa è il così detto "orecchio da mercante". Non si può negare che avete creato dei soggetti assai tipici e dotati di requisiti speciali e correnti per la povera umanità.
CoLT. - Perfettamente. Ne posso andare orgoglioso. Adesso ripongo le scatole nei rispettivi scaffali e giacchè avete detto poco fa di aver fame, andremo a far colazione in un buon ristorante.
Io. - E il mio naso? Le mie orecchie? Non vorreste certo che mi mostri in pubblico così?
COLT. - Precisamente! Magari per poche ore! Siete molto conosciuto. Tutti vi domanderanno che cosa vi è accaduto. Voi risponderete: A domani ! L'indomani vi riveggono nello stato primitivo e voi raccontate tutto. La mia fortuna è fatta!
Io. - lo non mi sottometterò mai a questa umiliazione! Voi avete promesso formalmente la mia riparazione seduta stante. Un inventore non può smentire sè stesso !
CoLT. - Le invenzioni sono tutte bugie. Anzi le bugie sono invenzioni. Io sono specialista in bugie ed ho le gambe corte.
Io. - (Supplichevole) Via, s1gnor Coltelli, ve ne prego, mettetevi nei miei panni...
COLT. - Sono troppo comodi!
Io. - Tornate in voi stesso!
COLT. - Non ne sono mai uscito...
Io. - Che cosa dirà la gente, vedendomi fatto zimbello delle vostre ciurmerie?!
CoLT. - Aprirà una sottoscrizione sul "Refugium" per ridonarvi le cose perdute. Incasserò somme favolose. Vendo il naso per un milione, un paio di orecchie, due milioni!...
Io. - Ah, per Dio! Manterrete bene la vostra promessa!... E arrotai le pupille d'attorno in cerca di un'arma.
COLT. - Che promesse, che naso, che orecchie! Siete voi che diventate matto, a vista d'occhio; non capite che tutte queste sono fantasie, esaltazioni di un'anima disperata. Io non sono Coltelli; sono un fabbricante di armoniche e di violini. Questo qui l'ho fabbricato io, autentico di Cremona. Il vostro naso, le vostre orecchie me le sono mangiate a colazione stamane. Poi ci ho bevuto dietro il vasetto dello spirito!
Io. - (urlando) Ladro, briccone, antropofago, stregone...
Ti farò bruciare nell'olio bollente... A me il coltello sanguisuga... !
CoLT. - Che bruciare! Che rogo! Che pira! Io, me ne impipo di tutto ciò... io !
Infatti, mentre io giravo vorticosamente per lo stanzone in cerca del coltello sanguisuga, della pignatta di stagno e del vasetto contenente le mie reliquie, Coltelli, frugò nelle tasche e cavò fuori una pipa enorme, e scovato in un armadio un turco autentico, lo ridusse in tabacco e la riempì, accendendola con uno d ei suoi sguardi terribili. Il laboratorio si riempì di un fumo denso e nauseabondo, onde io, non avvezzo ad un tabacco così mussulmano, cominciai a sternutare e sternutando mi trovai disteso nel mio letto col naso lungo un palmo e le orecchie più asinine che mai ! - Buon riposo! fece il direttore del "Refugium".
Io - Il banchetto elettorale di iersera... !
- In Via delle Riparazioni, fu rinvenuto il cadavere mezzo carbonizzato di un vecchio, un originaleche si spacciava per empirico. Attorno a lui si rinvenne una quantità di scatole, con tracci e di cera liquefatta... Ma cosa avete, che continuate a portarvi le mani al naso ed alle orecchie ?
lo - Un brutto sogno ! Effetti elettorali... ! - Presto, dunque; ed aprite un "inchiesta - Su di un biglietto da visita stinto inchiodato sulla porta s1 leggeva un nome: Coltelli.
lo: Allora, ne so qualche cosa anch'io, proruppi giubilante, passando dal sogno alla realtà e dalla realtà rivivendo nel sogno. L'inchiesta fu tale, che portò il "Refugium" ad una tiratura fantastica ed a me fruttò il famoso "quarto d'ora di celebrità" accennato nel primo capitolo. Da questo pallido riassunto i lettori. gli giudicheranno se me lo sono guadagnato o se resto indietro di qualche minuto. Ma io non so manovrare la .... lancetta come il cerusico Coltelli.
FINE